Dopo due tentativi teatrali celati da pseudonimo, Gherardi diede alle stampe nel 1920 questa raccolta di dieci novelle che sono eterogenee sia come scrittura che come ispirazione. La critica dell’epoca riconobbe subito la personalità dello scrittore e le sue doti di osservatore; doti non ancora mature ma meritevoli di essere attese a una successiva prova.
I temi sono quelli dell’amore e dei travagli interiori che a questo sottendono, spesso affrontati da un punto di vista non sempre attento alla psicologia femminile, che appare talvolta eccessivamente stereotipata, presentata in tratti convenzionali e ammantata da abusati luoghi comuni.
Ma non esiste un vero filo conduttore e, per esempio, in La fuga i ruoli tradizionali sembrano ribaltarsi e sullo sfondo della guerra lo sgomento attanaglia il maschio che dopo aver cercato l’amore non riesce a non rifuggirlo. La figura del giostraio padre di un giovane neolaureato in medicina è invece al centro del racconto più riuscito, forse proprio perché questo racconto non presenta accanto e in antitesi al protagonista la descrizione di alcun personaggio femminile.
Per trovare un altro libro di novelle (Cartoni animati) di questo autore si attenderanno 12 anni, ma, nel frattempo, la sua produzione teatrale sarà diventata sempre più interessante e di successo.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Carlo de Bellis si disinteressa della vita non perchè sia professore di filosofia, ma perchè ha sessant’anni e buona salute. Quando si ha sessant’anni non bisogna più occuparsi che della salute e se essa è buona, bisogna chiudersi in casa, guardarsi dai colpi d’aria, accontentarsi dell’orizzonte cilestrino, contemplato dalla finestra a vetri chiusi, il corpo abbandonato al tepore di una poltrona comoda e profonda. E quando la coscienza è tranquilla – Carlo ha una coscienza molto tranquilla – bisogna chiudersi in casa, guardarsi dal proprio simile, che infuria per le vie del mondo, accontentarsi di ciò che fu – e che è sempre un orizzonte cilestrino – senza pensare a ciò che è, o avrebbe potuto essere, se… No. Bisogna fermarsi a guardare indietro, quando si ha la minacciosa età di sessant’anni e si ha paura della morte. E anche questo finisce per giovare alla salute.
Carlo de Bellis ha una gran paura del fenomeno morte, perchè esce dal dominio della sua logica interpretativa, ma d’altra parte ha da tempo capìto tutte queste cose, per intuito di uomo di buon senso e in virtù della inveterata abitudine di procurarsi, nella vita, il massimo godimento della tranquillità col minimo sforzo di sacrificio.
Più che partecipare alla vita, vi ha assistito con la indifferenza morale che gli viene dalla miopia professionale: nella commedia umana egli ha recitato la parte, assai comoda, del personaggio che non dice niente.
Scarica gratis: I passeggeri di Caronte di Gherardo Gherardi.