Breve romanzo giovanile dell’eclettico letterato Lazzeri, pubblicato dalla neonata casa editrice «Modernissima» fondata da Icilio Bianchi che cercava di proporre un catalogo “d’avanguardia”, grazie a traduzioni di Alessandro Chiavolini di autori come Barbey d’Aurevilly e Théophile Gautier.
Un giovane nobile, Tristano Adorni, ultimo discendente di un antico casato lunigianese narra dal carcere la vicenda che lo ha portato a scontare una lunga condanna per omicidio. Perduta la madre alla nascita, poco propenso agli studi regolari, si dedica a una vita sentimentalmente tumultuosa, ispirato dal pensiero di Stirner e Nietzche. L’ultima sua passione con la “camminatrice” Stefania si snoda dal golfo di Spezia alla solitudine del castello avito.
Suggestionati all’estremo dalla lettura dell’opera teatrale dannunziana Sogno di un mattino di Primavera, ne rinnovano il “delirio erotico nel quale sadismo e necrofilia si mescolano a un rigurgito della Salomè di Oscar Wilde” come dice Piero Chiara nella sua Vita di Gabriele D’annunzio. L’atto catartico dell’unione tra la vita e la morte è descritto lasciando trasparire con evidenza i tumulti culturali di un’epoca che voleva uscire con forte e ribelle contestazione dai valori dell’ottocento.
Riprodotto in anastatica nel 2015 dall’editore Chiappini con interessante introduzione di Giuliano Adorni.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Da quasi tre anni sono in carcere, vittima della più ingiusta condanna che l’umana giustizia abbia mai imposta a libero uomo. Sono già trascorsi due anni; ma mi par solo ieri che i giurati – piccola razza di borghesi pavidi, timorati e idioti – pronunziarono uno stolto verdetto di condanna, cui seguì l’inumana sentenza, letta da una voce stentorea di saputo Presidente di Corte d’Assisi, tra gli unanimi applausi di una folla ebra di tutti i mali che germogliano e crescono nelle coscienze mediocri e comuni; l’inumana sentenza che mi condannava a trent’anni di cellulare. Sono già trascorsi due anni; ma il ricordo è ancor così nitido da parermi ieri quel giorno. Eppure mi sembra che in questi due anni sia di cento invecchiato, e che la fine inevitabile s’approssimi a grandi passi, come l’unica libertà possibile nelle torture presenti. E per questo non mi lamento: la vita non è estensione, ma intensità. Quale vita è stata più spiritualmente intensa della mia?
Mi tiene allegro il ricordo delle stupide ingiurie delle quali mi gratificò durante il processo un amenissimo Pubblico Ministero, che, lavorando di logica attorno ai risultati delle esperienze ridevoli eseguite su di me da più o meno illustri psichiatri, mi dipinse come il delinquente tipo, sostenendo con gran sicurezza che ne possedevo tutti i caratteri fisici e morali. Il buon diavolo non si era accorto che fisicamente sono un bell’uomo, e la mia deposizione non era riescita a dimostrargli che, moralmente, posseggo una coscienza superiore e perfetta.
Scarica gratis: La gioia di uccidere di Gerolamo Lazzeri.