Per il lusso è l’ultimo dei romanzi di Regina di Luanto, pubblicato nel 1912. Tema ricorrente dell’opera di questa scrittrice, troppo spesso trascurata e sottovalutata, è la critica feroce alla morale ambigua e all’ipocrisia della società tardo ottocentesca e di inizio novecento.

Un importante impulso verso questo tipo di riflessioni venne certamente dalla letteratura nordica e, in particolare, da Ibsen che con il suo Casa di bambola diede una sterzata importante verso la consapevolezza femminile a proposito della ricerca di una propria autonomia e in opposizione al traguardo consueto, almeno per certi ceti sociali, di un matrimonio ipocrita. Certo Regina di Luanto è lontana dalla forza polemica e dallo stile di Ibsen, ma non credo troppo avventata l’ipotesi che conoscesse bene questo autore e in una certa misura abbia cercato in quell’ambito la sua ispirazione. Forse non è un caso che una delle tre sorelle protagoniste della narrazione si chiami Nora…

La posizione subordinata della donna nella società, nella famiglia, nel matrimonio era spesso al centro dell’attenzione per le scrittrici dell’epoca: è sufficiente ricordare il celebre Una donna di Sibilla Aleramo (1906) o Avanti il divorzio di Anna Franchi (1902) – che si può leggere in questa biblioteca Manuzio – e, per quanto concerne Regina di Luanto nel suo romanzo Un martirio (1894). Nella descrizione della realtà quotidiana la scrittrice si muove in un ambito letterario di tipo positivista e realista, benché gli ambienti descritti siano quelli aristocratico-borghesi e non certo quelli proletari. In particolare in Per il lusso il tema è quello delle difficoltà dell’emergente borghesia finanziaria ad essere ammessa appunto in ambiente nobiliare e aristocratico e quali sprechi le siano necessari per avere questa omologazione d’ambiente, pur permanendo vittima di continui esami, pettegolezzi, critiche, maldicenze. E più che mai in quest’ambito la donna si vede costretta a rinunciare a cercare una strada per la propria indipendenza. L’istruzione è riservata ai maschi, la strada delle professioni è per lo più preclusa, la via delle arti è considerata disdicevole.

Abbiamo già visto questo tema sviluppato in La scuola di Linda, disponibile in questa biblioteca Manuzio, e lo si ritrova in quest’ultima opera della scrittrice. La famiglia travolta dalle esigenze di non sfigurare in società è composta dai genitori e i loro figli, tre femmine e un maschio. Lo scopo della madre Concetta è di trovare il marito più adatto per le figlie, prescindendo da ogni pretesa di tipo sentimentale. Quando gli affari cominciano ad andar male Concetta marca strettissimo il marito con continue richieste di denaro sempre più assillanti e sproporzionate, facendo leva ora sull’amor paterno ora sulla vanità insulsa e inducendolo, lui uomo onesto e irreprensibile, a scivolare verso compromessi con la propria coscienza sempre più precari. Si sposa con un ricco ingegnere la figlia Lena, ma i paventati vantaggi per la famiglia di origine non si realizzano perché la figlia, allevata nella superficialità e nell’egoismo evita addirittura i contatti con i genitori e le sorelle. Nora invece vede andare a monte il suo programmato matrimonio, perché anche il nobile che avrebbe dovuto sposarla era ormai completamente rovinato e faceva conto di poter concludere un matrimonio d’interesse con la figlia del ricco finanziere, anch’egli ormai sull’orlo della bancarotta. Stenia, la terza figlia, rappresenta invece la sensata modestia, la riflessione emancipatrice. È lei che rivendica per la donna il diritto allo studio che le apra le porte della professione. Vista la rovina della famiglia decide di accedere alla carriera di attrice (cosa che poi non attuerà) che le pare, per lei che non ha preparazione, l’unica praticabile, ma che è vista con orrore dalla famiglia. Il figlio Massimo trascina la sua vita oziosa perdendo al gioco, divenendo falsario e infine baro e, scoperto, finisce per soccombere ad un destino tragico. A questo destino (e a quello di Nora) contribuiscono due avventurieri francesi, che si spacciano per fratello e sorella essendo invece amanti. Per Massimo cadere nelle trame della perfida allettatrice è la conseguenza della dissipazione funesta di quello che di buono era in lui e che avrebbe potuto essere coltivato da un genitore più saggio. E Nora, circuita a sua volta dal cinico “amico” di Massimo riceve una delusione terribile che la condurrà a venire ad ancora più equivoci compromessi. Per un’occasione di ripresa economica della famiglia da realizzare oltre oceano partono quindi solo i due anziani genitori e la figlia minore Stenia.

Il tema che accomuna questo romanzo ad altri della stessa scrittrice è quindi proprio quella della donna (ma in questo caso anche il giovane Massimo) vittima di un’educazione trascurata e insufficiente in un ambiente privo di sensibilità. Non conviene attendersi da questa lettura approfondimenti complessi e riflessioni articolate: la contrapposizione tra egoismo e falsità da un lato e onestà aperta a nuove idee e insofferenza verso l’ipocrisia è quasi sempre schematica. Purtuttavia le riflessioni di Stenia e la sua ostinata riproposizione della propria idea di indipendenza è, secondo me, il vero centro del romanzo. La ricerca per una donna di una strada alternativa a quella di doversi sposare ad ogni costo e senza alcun riguardo al sentimento è il fattore liberatorio essenziale e qui si traduce nel tentativo di entrare nel mondo del teatro per potersi mantenere da sola. Questa soluzione narrativa testimonia anche dell’interesse di Regina di Luanto per il teatro che si era già concretizzata nella trama e nelle vicende narrate nel suo romanzo precedente, Le virtuose. Certamente questi aspetti vanno cercati nelle pieghe delle descrizioni di inganni, vizi, intrighi che la scrittrice condanna in ogni suo romanzo (pur senza indulgere mai ad un esasperato moralismo, tanto è vero che se si leggono recensioni d’epoca per esempio di Giuseppe Lipparini o Giulia Fornaciari si riscontrano reazioni scandalizzate del tipo “mi guardo dal riferire per pudore” o “non è lettura adatta alle giovinette, mentre può essere utile alle madri di famiglia, specie a quelle che si sentirebbero disposte a secondare in tutto i gusti mondani dei loro figlioli”). Il recensore non si avvede che i dialoghi audaci, le descrizioni di abitudini nefaste non sono tanto funzionali a sollecitare curiosità pruriginose nel pubblico dell’epoca, ma ad accentuare il contrasto che esiste tra queste abitudini e le possibilità per una donna di accedere a una vita autonoma ed emancipata.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Come di consueto, verso l’ora del pranzo la signora Arnoni con le tre figlie, si erano riunite nel salottino, comunemente detto di lavoro, sebbene nulla nel suo elegante arredamento ne suggerisse l’idea; ma lo chiamavano così, soltanto per distinguerlo dalle altre, più sfarzose sale di ricevimento, meno spesso abitate.
— O dunque non si mangia stasera? – domandò ad un tratto la maggiore delle sorelle, Lena, interrompendo la lettura di un libro che tenne socchiuso fra le mani posate in grembo.
— E il teatro? – disse di rimando Nora, tuttavia intenta ad accomodare, rialzare, lisciare davanti allo specchio, le ondulazioni della sua sapiente e ricercata pettinatura.
— Facile a prevedere! – rispose con tranquillo sarcasmo Stenia, la sorella minore; – secondo il solito arriveremo alla fine del primo atto e sarà già una bella grazia!
E com’ebbe finito di dire, con una spinta nervosamente impaziente, accelerò il moto oscillante della poltrona a dondolo, nella quale stava distesa con le braccia incrociate alte al disopra della testa.
— Com’è fastidioso quel tuo dondolio! – brontolò la signora Concetta Arnoni, spiegazzando in un gesto irritato il giornale, che distrattamente scorreva qua e là.
Stenia rallentò di malavoglia il movimento della poltrona, poi dopo uno sbadiglio, chiese:
— O che ora è?
— Le sette e tre quarti, quasi…
— E non tornano? Nè babbo, nè Massimo?

Scarica gratis: Per il lusso di Regina di Luanto (alias Anna Guendalina Lipparini sposata Roti).