Pubblicato postumo due anni dopo la morte dell’autrice, questo testo non aggiunge molto alla produzione in prosa di Ada Negri; i suoi ricordi di persone, paesaggi, strade della sua Pavia, riecheggiano in gran parte scritti già pubblicati. Ma la sua capacità descrittiva consente comunque di fissare nella memoria, attraverso personaggi mirabilmente descritti, tragici episodi della guerra come il bombardamento di Milano.

La seconda parte dell’opera raduna alcuni brevi racconti e la terza è dedicata alla vita di tre sante, tra le quali spicca l’agiografia di santa Caterina da Siena. Il volume è concluso da un abbozzo di biografia di santa Teresa di Lisieux che la Negri intendeva sviluppare, se nel frattempo non fosse sopravvenuta la sua morte, in un’opera più organica.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Due volte la settimana, alle dieci del mattino, vado con Barbara all’ospedale Fatebenefratelli a trovar suo marito, che da qualche tempo vi giace infermo. Egli ha, grazie a Dio, superato la crisi pericolosa che ci aveva dato tanto pensiero; ma, debolissimo e in osservazione per lo stato un po’ scosso del cuore, non potrà uscir di lí che fra una ventina di giorni o forse un mese. Vive attendendo la nostra venuta: quando ci s’affaccia alla soglia della sala dov’egli sta con altri sette, il suo volto olivigno, tutto ombre e scavo, sembra staccarsi dal busto sollevato fra i guanciali e la rimboccatura, per venirci incontro col sorriso dei grossi denti e degli occhi buoni.
Dopo un po’, lascio che Barbara se ne stia in pace a discorrere col suo Dario (han tante cose da dirsi, marito e moglie) e mi rivolgo al vicino di destra, che è sempre solo, o a quello di sinistra, che spesso lo è. Non riesce difficile barattar parola con un pover’uomo che si trovi in un letto d’ospedale senza un cane accanto, mentre i compagni (di aggravati nella sala non ce n’è) ascoltano, con viso tutto mutato da quel ch’era dianzi, il sommesso chiacchierio dei parenti o degli amici. Quei due – un vecchio asmatico senza ciglia, col pomo d’Adamo sporgente a mo’ di gozzo, e un uomo sulla cinquantina con la fronte bassa e scura sotto selvosi capelli grigi, al quale di rado viene a far visita la moglie e sembra lo faccia per castigo, umile e stenta qual è, con l’aria d’uno sgorbio mezzo cancellato – mi raccontano volentieri della loro infermità, e di questo e di quel compagno di degenza, e anche della casa e del mestiere. Il mio nome non lo sanno: il loro nome non lo so. Che importa? Anzi: cosí è piú bello.

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