Il romanzo L’animale apparve per la prima volta a puntate sul quindicinale “Fin de Siècle”, dall’ottobre 1891 all’aprile 1892. Era stato pubblicato dopo Scandale, un racconto molto poco scandaloso di Alfred Vallette, marito di Rachilde dal 1899 e direttore, dal gennaio 1890, della giovanissima rivista “Mercure de France”. Il romanzo L’Animale fu scritto appositamente per “Fin de Siècle”, e fu presentato come «molto letterario e molto audace»; fu annunciato con grande rilievo negli inserti pubblicitari: «In questo romanzo… l’autrice di Monsieur Vénus, di Madame Adonis, di La Sanglante ironie prosegue la serie di studi crudeli e violenti che avevano garantito il successo delle sue opere precedenti.» Per attirare il lettore, la storia è presentata con una patina di rivestimento propagandistico pseudo-popolare: «è la storia di una cercatrice d’amore le cui viscere presentano certe affinità con quelle degli animali. Soffre di una certa nevrosi che la spinge a correre di notte sui tetti insieme ai gatti.»

Le puntate del romanzo vennero lanciate con un titolo accattivante: Bestialities, e a Paul Balluriau, collaboratore del giornale e futuro direttore artistico con Steinlen di “Gil Blas illustré”, venne chiesto di realizzare un disegno di grande impatto; cosa che fece anche se già aveva avuto problemi con la giustizia per le sue audaci illustrazioni sul giornale. La prima puntata fu accompagnata da una illustrazione a tutta pagina. Rappresentava una ragazza seminuda sdraiata su un tetto. I gatti arrivano da tutte le parti, alcuni giocano con i suoi capelli. Due felini robusti e dall’aspetto dispettoso si dirigono verso le gambe leggermente aperte della «cercatrice d’amore». Per la pubblicazione in libro, a cura di Simonis Empis nell’aprile 1893, Rachilde cercò di ammorbidire l’impatto scandalistico del romanzo modificando il titolo, sostituendo Bestialités con L’Animale. Quando il romanzo fu pubblicato in volume fu giudicato strano e sulfureo e sconvolse, per esempio, il robusto buon senso del critico teatrale e giornalista Francisque Sarcey:

«Avevo sentito molto parlare dei romanzi di Madame Rachilde che, mi era stato detto, erano di una perversità molto raffinata e molto attraente. La settimana scorsa ne è uscito uno nuovo, intitolato L’Animale. L’eroina del libro è in realtà un animale. A dodici anni corrompe i ragazzini; ha il suo primo amore (se così si può chiamare), a tredici anni, fa impazzire un ragazzo brutto e guercio, si offre a un prete al quale si confessa, che ne so? e tutte quelle storie con dettagli di sadismo sfacciato o subdolo. A metà il romanzo vira verso il simbolismo. Vive in una soffitta e a volte passeggia sui tetti, come un gatto innamorato. Lì incontra un gioielliere e insieme corrono lungo i bordi delle grondaie. Ma non è tutto; ci sono cose peggiori. Ma mi fermo; perché le scene della risoluzione finale sono così abominevoli che ho provato non so quale disagio nel leggerle. Sono fantasie di un erotismo così bizzarro che per me è incomprensibile come siano potute entrare nella mente di una donna. Ma le donne, nei loro eccessi, vanno sempre più lontano degli uomini! Questa Rachilde ha talento; questo non è discutibile. Ma che uso singolare e miserabile del suo talento!» [“Revue illustrée”, maggio 1893].

Per la prima volta, infatti, Rachilde affronta il tema dell’erotismo animale attraverso un soggetto divenuto già un classico nelle sue opere: la precocità del bambino, la rivolta dell’adolescente, i primi amori, la partenza della giovane donna dalla provincia verso Parigi, la ricerca del piacere nel sadismo. È vero che l’amore per gli animali si era manifestato molto presto nella piccola Marguerite Eymery, prima di divenire Rachilde nel mondo letterario: «Preferisco i gatti ai bambini piccoli, sono più buoni e birichini», scriveva a quindici anni nelle sue “lettres à Edouard”! Un amore che non abbandonerà mai per tutta la vita e che le farà dire:

«Sono ben poca cosa nell’ambito della specie umana e sono molto più vicina alla specie animale… forse avrei fatto meglio a miagolare, ad abbaiare, urlare piuttosto che scrivere.» [Prefazione al Théâtre des bêtes.]

Remy de Gourmont, giornalista del “Mercure” scrittore vicino al movimento simbolista, trovò che si trattava di: «il libro più singolare, anche se non il più equivoco» di Rachilde. Ma nel suo articolo la Bestialité, correggerà il tiro soprattutto a proposito della singolarità sottolineando che la fornicazione tra l’uomo e gli animali, che oggi ci sembra così mostruosa, è all’origine di tutte le civiltà e che già cantavano gli antichi; «dunque», continua,

«conoscendo molte cose e avendo letto molti libri, non mi scandalizzerò di un romanzo pubblicato di recente, sotto il titolo L’Animale, dove si raccontano gli amori di una donna e di un felino. Essendo questo felino un gatto (mio Dio, che uomo, che ometto! come dice la canzone), questi amori sono del tutto irreali» [in Promenades littéraires, 6e série, 4e édition, Mercure de France, 1926].

La critica, nel complesso, fu favorevole a quest’opera e Camille Mauclair scrisse sul “Mercure de France” un «elogio della lussuria», sottolineando che «l’ora esige che comprendiamo quanto sia fertile la perversità»! Tuttavia, egli evitò la questione della bestialità erotica, accontentandosi di ammirare la sfacciata virtù dell’eroina, simbolo della «riabilitazione della carne». Non va meglio con Louis Dumur, rimasto ancorato al suo stile simbolista, che in La Plume dimostra che Rachilde distorce il mondo perché è pazza; pazza come tutte le donne. Le verrà comunque perdonato molto perché «non sa di distorcere»! Anche Jean Lorrain, estremamente sensibile alla bellezza decadente dell’opera, ai temi prediletti dall’autrice, rimase sconvolto dall’«orrore finale», accontentandosi di ammirare «l’infanzia nell’angelico, l’intrigo con il prete e la ricerca dell’amore».

In effetti, è facile parlare dell’animalità della donna; l’opera di Rachilde si presta naturalmente in molte occasioni a questo e molti dei suoi personaggi, come sottolinea il “Cymbalum pataphysicum” [N°19-29, 1983], sono disegnati sull’animale a cui sono più vicini. L’uomo-lupo, l’uomo-tigre, la donna-gatto, la ragazza-topo e persino la donna-cobra indicano che la barriera tra uomo e animale è sottile e facilmente superabile. La Sanglante ironie, romanzo pubblicato da Rachilde nel 1891, aveva già tratteggiato questo tema dello scambio con la graziosa evocazione del giovane Sylvain che per un momento si scambia per un gatto: «[il gatto] si chinò, prese un sorso, schioccando la lingua… Bevevo secondo la sua abitudine, e la mia lingua faceva sgorgare gocce: allora vidi nel mio viso riflesso nell’acqua… la sua testa e la mia, sfocate, confuse; io avevo gli occhi fosforescenti e lui aveva pupille umane…». Grangille, l’eroina, arriva addirittura a invitare il corvo da lei allevato a «annusare un sorso di vino tra le sue labbra».

Tuttavia, esiste un abisso tra questa filosofia e un certo comportamento sessuale che è psicopatia e nevrosi. In effetti, Rachilde voleva, come ai tempi di Monsieur Vénus, creare scandalo osando aggiungere una nuova perversione a quelle che aveva già inventato: unire la bestia all’uomo. Rinunciando alle provocazioni tipiche del feuilleton, mette in risalto l’estetica decadente e l’etica che riscontriamo nelle sue opere principali. Questo racconto è, infatti, in linea con i romanzi in cui l’estremismo della sensualità, che caratterizza molti dei suoi personaggi, si riflette anche nell’ambiguità dei titoli: Monsieur Vénus, La Marquise de Sade, Madame Adonis sono gli illustri precursori di questo animale femmina. Con la coppia donna-gatto, Laure-Lion, Rachilde cercherà, senza tuttavia scoprire «un nuovo vizio», cosa della quale era già stata accusata nel processo subito susseguente al sequestro in Belgio di Monsieur Vénus, di spingersi ancora più lontano nella perversità e nella perversione. In Monsieur Vénus fornisce l’esempio più celebre con la coppia formata da Raoule de Vénérande, la donna che scopre la propria natura maschile, e Jacques Silvert, l’uomo a cui viene rivelata la propria natura femminile. In questo schema ormai classico, che è alla base dell’opera di Rachilde, Laure, l’eroina di L’Animale, scoprirà gradualmente il suo lato oscuro di animalità mentre Lion, il gatto, prendendo la strada opposta, diventerà più umano.

«Il gattino, vivendo di continuo a contatto con quella mite umanità, acquistava i modi di un bimbo, diveniva umano, mentre la donna, per la convivenza con quell’animale, diveniva felina, provava dei bisogni di graffiare, di urlare le proprie pene in un miagolìo di passione e d’angoscia».

Una metamorfosi che non avviene senza qualche crisi di isterismo che pone il personaggio di Laure accanto a grandi nevrotici ideati da Rachilde come Marie Barbe in la Marquise de Sade, Madeleine Deslandes in la Princesse des Ténèbres, Berthe Soirès in À Mort. In un breve paragrafo del capitolo XV che Decio Cinti, traduttore italiano di questo romanzo, ha tralasciato di tradurre leggiamo:

«Vous vous mettiez à quatre pattes sur votre lit pour donner de grands coups avec votre front contre la muraille, et vous attrapiez des souris le long de la couverture. C’était une fameuse toquade, vos souris! Vous en trouviez de tous les côtés.» [Ti sei messa a quattro zampe per sbattere forte la fronte contro la parete e hai preso dei topi lungo la coperta. I tuoi topi erano una vera moda! Li hai trovati ovunque.]

È una frase che la portinaia dice a Laure risvegliatasi da una lunga febbre delirante e la riporto qui perché è utile a sottolineare una tappa di una metamorfosi che diventa sempre più evidente man mano che la ragazza abbandona i propri punti di riferimento sociali: la famiglia, il matrimonio, la religione e, suo ultimo rifugio, la prostituzione. A differenza delle eroine trionfanti che rigenerano la specie umana attraverso il vizio, Laure è condannata a trasformarsi in una bestia, non essendo riuscita, attraverso il puro amore, a riconquistare la propria verginità.

L’autore di Psychopatia sexualis, Krafft Ebing, avrebbe probabilmente classificato alcune azioni dell’eroina nella categoria della “zoofilia”, che comprende proprio la “bestialità” e la “zoofilia erotica”. Il primo definisce l’atto, la contaminazione, il secondo l’istinto, il sentimento. Rachilde riesce abilmente a far sì che siano i gatti a prendere il sopravvento. E non possiamo non ricordare l’enorme treccia feticcio che rotola di continuo sulle spalle dell’eroina, una treccia voluttuosa dai movimenti sfrenati, malsana e il più deliziosa possibile, che procura sensazioni sessuali alla “gatta” Laure, e non solo, e la induce a erotici turbamenti.

Non è neppure difficile intravedere sotto la patina della bestialità una sorta di allegoria dell’incesto.

La perversità di Rachilde è tale che un gatto… adottato, raccolto sul margine di una fogna, trattato come figlio (ed è un fattore importante se lo si mette in relazione alla sottile avversione di Rachilde per i bambini), diviene in pratica incestuoso e violenta la madre nel bel mezzo della loro definitiva metamorfosi. Possiamo intravedere anche il padre in questa storia: appare nelle vesti dell’amante senza nome di una sera. Vuole condurre con sè Laure, dagli occhi egiziani, nella terra dei veri leoni: «Sono obbligato a partire per un brutto paese infuocato, dove ruggono le tue sorelle… le leonesse!…» È questa parentela che crea un legame indissolubile tra due amanti per una sera. Ma la terra africana dove Joseph Eymery, padre di Rachilde, aveva combattuto nella sua giovinezza, ben prima del suo matrimonio e della sua paternità, non era forse diventata, nell’immaginazione della piccola Marguerite, sua figlia, una terra di sogni, un paradiso, cioè il contrario di Cros, il contrario della sua terra natale, la terra dei lupi mannari? Dobbiamo forse vedere in questo desiderio di fuggire laggiù, verso la terra incognita, un vertice ineguagliabile della “perversità” rachildiana: dormire con il padre per tornare all’idillio paradisiaco di una terra solo sognata?

Presentiamo in questo e-book la traduzione italiana di Decio Cinti, pubblicata dall’editore Facchi nel 1919. Una nuova edizione è per i tipi di Madella nel 1928. La traduzione è accurata e sostanzialmente integrale; le pochissime omissioni – a una di queste ho fatto cenno più sopra – sono sostanzialmente insignificanti. Le recensioni italiane dell’epoca variano dallo sbigottito allo scandalizzato. Ne riporto una, pubblicata a firma u.z. [Umberto Zerbinati] sulla rivista “Poesia ed arte” che dimostra la prevenzione della critica clerical-bigotta che si ergeva a custode di una moralità di sola facciata:

«A una pagina qualunque: «Laura» (è una bambina) «teneva stretto a sè il contadinello. Si guardavano fissamente, con occhi pieni di languore, e avevano madida la pelle, secche le labbra. La loro gola non poteva più articolare suoni umani; avevano dei grugniti d’animali che si fiutano e si riconoscono.» Non avendo letto di più, non sappiamo dire se si tratti di bambini allevati in una giungla e se l’autore abbia fedelmente rispettato i colori d’ambiente; né potremmo dunque fare una critica. Ma pensiamo con qualche nostalgia a quei due leoncini allevati da una miss inglese, che «avevano vocioline e lamenti quasi umani»; e ci rammarichiamo sinceramente che la signora Rachilde non abbia tirato da quelle bestie un romanzo intitolato: L’uomo; o, almeno, La donna; o almeno L’uomo e la donna: opera che, se condotta con altrettanta forza di accenti, avrebbe avuto il vantaggio di conciliare col darwinismo anche la chiesa».

Questo sta a sottolineare l’opera difficile e pionieristica di un editore come Gaetano Facchi, che, soprattutto nel periodo a cavallo della prima guerra mondiale, fece conoscere in Italia, oltre a Rachilde, Pierre Loti, Jean Lorrain, Colette, Fromentin, Remy de Gourmont, Barbey D’Aurevilly, oltre ad essere stato editore di riferimento per numerosi scrittori del movimento futurista, come Buzzi, Corra e Dessy. Non a caso la copertina di questa edizione di L’Animale è opera di Arnaldo Ginna e rappresenta in primo piano un volto di donna (dai connotati corrispondenti a quelli che fornisce Rachilde nel suo romanzo) affiancato da un volto di gatto che prende il suo spazio sbucando da dietro alla donna.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

La donna, quella notte, passeggiò a lungo per la camera, cercando di calmarsi. Decisamente, i suoi nervi si ribellavano, e non trovava la ragione di quelle insonnie che la tormentavano da mesi. Dapprima, aveva pensato che una malattia la minacciasse e che sarebbe morta presto, per punizione delle sue colpe. Poi, riflettendo che era relativamente molto saggia, aveva abbandonata quell’idea di punizione speciale. Ma perchè si addormentava sempre per ultima, all’alba, quando le invetriate della camera s’illuminavano, cagionandole un abbacinamento cerebrale assolutamente simile alla scossa prodotta da una catastrofe? Perchè l’uomo, presso di lei, dormiva tanto profondamente, senza affatto subire i sussulti nervosi che la facevano soffrire? Ella lo contemplava per ore intere, cercando il segreto della sua beatitudine. L’uomo rimaneva steso, con la bocca un po’ aperta, e pareva s’avvoltolasse nel sonno come in un’acqua cullante, si lasciasse portare da onde molli, facesse il morto, insomma, con la sicurezza d’un asse galleggiante, mentre ella affondava in abissi di riflessioni sgradevoli e si sentiva percorso il corpo da soffi freddi, o provava una sensazione di calore intenso nel cavo del petto…
Non era cattiva, per quanto nervosa, ma gli serbava rancore di quel sonno troppo tranquillo. Nella sua testa, sotto la massa pesante dei capelli, qualcosa s’insinuava, come un dito, come un indice aguzzo che le trivellava il cervello, che vi agitava dei serpentelli, i quali si snodavano a poco a poco, e brulicavano, sibilando, aggrovigliandosi abominevolmente. Gli atti comuni della giornata assumevano nella sua memoria aspetti lugubri.

Scarica gratis: L’animale di Rachilde (alias Marguerite Eymery).