Al punto 8 del notissimo Manifesto di fondazione del movimento futurista, pubblicato il 20 febbraio 1909 su “Le Figaro” si legge:

«Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri.»

 

Non è quindi sconosciuta al movimento futurista l’idea apocalittica di fine del mondo. Lo stesso Marinetti inserisce spesso tra i suoi personaggi una sorta di profeti dell’apocalisse; si veda per esempio il gigante ultrapotente Gazurmah in Mafarka il futurista. E lo stesso Marinetti, difendendosi durante il processo susseguente al sequestro della traduzione italiana del romanzo, affermò che il personaggio tendeva a

«una speranza illimitata nel suo perfezionamento spirituale e fisico, svincolando dalle ventose della lussuria e assicurandogli la sua prossima liberazione dal sonno, dalla stanchezza e dalla morte […] Volli descrivere l’elevazione gloriosa della vita, che fu vegetale, animale e umana e che si manifesterà presto in un prodigioso essere alato ed immortale. Volli sconfinare il divenire dell’uomo in una moltiplicazione infinita di forze e di splendore».

Colubbi (la Madre Terra) invoca lei stessa la distruzione totale e la fine e Gazurmah foriero della distruzione totale può lanciarsi verso l’infinito. Anche in L’angoscia delle macchine del messinese futurista e anarchico Ruggero Vasari assistiamo allo sconvolgimento della Terra in seguito a una guerra interplanetaria. Non è quindi casuale che nell’ambito del movimento futurista si collochino almeno due romanzi che trattano esplicitamente della fine del mondo, che è poi un argomento abbastanza caratteristico della letteratura fantascientifica di ogni tempo. Nel 1920 fu pubblicato Il sole spento di Ulderico Tegani (in un’edizione oggi molto difficilmente reperibile e mai più ristampata, ma presto disponibile in questa biblioteca Manuzio) e l’anno precedente, sembra, questo La fine del mondo di Volt in una prima edizione “fantasma” in quanto mai rintracciata e forse stampata in minima tiratura e distribuita agli amici, ma fors’anche potrebbe essere stata un’edizione solamente annunciata (cosa non insolita tra i futuristi) e mai realizzata. Fatto sta che nell’edizione del 1921 per i tipi di La Modernissima compare la dicitura “prima edizione”. È stato poi edito da Vallecchi nel 2003 – con ricca appendice – a cura di Gianfranco De Turris, una delle massime autorità in Italia nel campo della letteratura di fantascienza e del fantastico.

Il romanzo è ambientato nel 2245, alcuni decenni dopo che il chimico italiano Assenna ebbe scoperto il “piombide” al termine di ricerche sull’unità e trasformazione della materia, sulle orme degli studi alchemici (e oggi potremmo aggiungere: anticipando quelli relativi alle trasmutazioni a debole energia, comunemente indicati come “fusione fredda”). Tutti i nuovi corpi così ottenuti e non esistenti in natura sulla Terra hanno la proprietà di non essere soggetti alla forza di gravità. Il passo tra questa scoperta e un agevole volo interplanetario è quindi breve. In una Terra nella quale il degrado ecologico e ambientale ha devastato praticamente l’intero pianeta, dove le tensioni dovute a sovrappopolazione e esaurimento delle risorse energetiche sono ormai di difficile gestione, sorge quindi inevitabile il viaggio interspaziale patrocinato dalla Società di Navigazione Transeterica finalizzato alla colonizzazione di altri pianeti.

Il romanzo è anticipatore di più di un tema che la letteratura fantascientifica svilupperà in anni successivi. Certamente nella fantascienza italiana il viaggio spaziale non era stato ancora visto come mezzo “imperialista” di colonizzazione ma solo come strumento di ampliamento della conoscenza (vedi ad esempio Dalla Terra alle Stelle di Ulisse Grifoni, Gli esploratori dell’Infinito di Yambo o Gli erranti del firmamento di Gioacchino Astarita). Il materiale antigravità non è invece del tutto originale perché ricorda non poco la “cavorite” di Wells in I primi uomini sulla Luna (anche questo presto, alla scadenza dei diritti sulla traduzione, nella biblioteca Manuzio), ma anche la vernice antigravità del romanzo di Grifoni succitato.

Interessante e certamente nuovo per l’epoca – la fantascienza americana affronterà l’argomento solo a partire dagli anni cinquanta e sessanta dello scorso secolo – il tema “etico” dei rapporti con gli abitanti degli altri pianeti. Dobbiamo giungere alla struggente poetica di Simak con Way Station (Qui si raccolgono le stelle conosciuto anche con il titolo La casa dalle finestre nere) o a A Case of Conscience di Blish (Guerra al grande nulla) per ritrovare nuovamente riproposto il tema. C’è da sottolineare certamente che il romanzo di Volt ha soprattutto una valenza ideologica. La fine del mondo risulta in ultima analisi la trasposizione in veste di romanzo delle idee espresse da Volt nel suo scritto Teoria sociologica della guerra (questo scritto si trova compreso nel testo di Scriboni citato tra le fonti nella nota biografica di Volt). L’idea dell’espansione, dello “spazio vitale” viene trasportata oltre i limiti del pianeta Terra in direzione di altri pianeti e dei loro abitanti. Nel saggio citato Volt scrive:

«Ogni Stato forte e vitale tende a crearsi una sfera di dominio politico nel mondo, cioè un impero […] alle guerre di formazione nazionale succedono le guerre di predominio imperialistico».

Il protagonista del romanzo, Paolo Fonte, una sorta di alter ego dell’autore, non esclusa la sua triste situazione sanitaria, vede la conquista di Giove con gli stessi occhi con i quali Volt vide la guerra mondiale iniziata nel 1914. Nel 2247 l’umanità ha goduto di un secolo di pace ma le conseguenze sono che

«soppresso il dinamismo della concorrenza internazionale i popoli dell’umanità si avviavano tranquilli, simili a greggi ben pasciuti, sotto la guida di accorti pastori, verso le pigre fonti del benessere.»

Il partito futurista aveva cessato di esistere e le redini del governo erano tenute da Massoneria, Teosofia e Comunismo. Il papa Silvestro, confinato nell’Agro fuori dal Vaticano – divenuto sede del parlamento degli Stati Uniti d’Europa – , preconizza la fine del mondo. I dissidenti si raccolgono nel Partito Dinamico (erede del defunto Partito Futurista) e si battono per la colonizzazione interplanetaria fondata sulla distruzione degli abitanti nativi (in particolare sugli abitanti “Lemuri” del pianeta Giove). I dirigenti del Partito Dinamico richiamano figure certamente care all’autore, in particolare Tomaso El Barka è palesemente la raffigurazione di Marinetti e la donna di Paolo Fonte è la francese Marinette…

Tra tante idee che possiamo facilmente trovare aberranti non è tuttavia difficile individuare una concezione del rapporto tra politica e guerra che sembra collocarsi in prospettiva jüngeriana e non lontana dagli studi polemologici di Gaston Bouthoul espressi nella sua Sociologia delle guerre. I fenomeni descritti da Volt, e presenti nell’attualità sia per Jünger che per Bouthoul, come i flussi migratori difficilmente controllabili, gli squilibri demografici di opposta valenza in parti diverse del mondo, le guerre che da questi accadimenti scaturiscono, erano ben lontani quando Volt stesso scriveva il suo trattato e il suo romanzo. Sembra che la democrazia regni e prosperi ma in realtà vediamo il pensiero dominante, rafforzato da incessante propaganda, annullare ogni differenza, ogni alternativa, normalizzare e riassorbire ogni iniziativa.

Per tutto questo il romanzo, ancorché datato e per certi aspetti ideologicamente propagandistico, risulta enigmaticamente intrigante; anticipatore rispetto al futurismo stesso che era partito con l’esaltazione del moderno e del culto della macchina (vedi per esempio in questa biblioteca Manuzio i libri di Mario Morasso) e solo con l’inoltrarsi negli anni ’20 e con le prime esperienze di volo umano e le prime comunicazioni elettroniche a distanza avrebbe dirottato la propria ricerca e interesse dal culto ottocentesco per la meccanica in direzione di estetiche decisamente immateriali. Anche in questo campo il futurismo si era rivelato audace anticipatore di oltre mezzo secolo rispetto ad eventi che sarebbero seguiti. Volt riesce grazie alla sua formazione culturale rigidamente aristocratica a vedere entrambe le facce della medaglia: al di là di progresso tecnico, coraggio, inventiva e iniziativa anche estrema, nessuno si salverà dall’esplosione del Sole.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Nel silenzio, nella solitudine dell’Agro, papa Silvestro predicava alle ultime turbe dei fedeli la fine del mondo.
— Guai a te – tuonava il vegliardo con l’indice della mano teso verso la città dei sette colli – guai a te, o Roma! Ma che dico Roma? Guai a te, Babilonia! Poiché la profezia dei padri nostri si è avverata.
«Roma non sarà più Roma», Roma non è più Roma, da che non siede più nel Vaticano il Vicario di Cristo! L’empia setta massonica ha invasa e profanata la sede di Pietro. La meretrice che il veggente di Patmos vide in sogno, detta legge da Roma a tutti i popoli del mondo. I falsi profeti hanno sedotto il gregge cristiano. Satana, Satana regna sulla terra!
Ma io vi dico: l’ora del Signore si avvicina. I tempi sono maturi per l’ultima vendemmia. Guai a te, o Babilonia! Poiché l’ira del Signore ti spremerà come l’uva nel tino della vendemmia. Io vi dico: non è lontana l’ora della fine del mondo. Iddio ci invia i suoi segni, affinché gli uomini si convertano. La terra non è più solida sotto i nostri piedi. Intiere regioni si sprofondano, e il mare monta là dove erano le montagne. Esalazioni pestifere emanano dai crateri dei vulcani spenti, simili alle esalazioni di un cadavere quatriduano.

Scarica gratis: La fine del mondo di Volt (alias Vincenzo Fani Ciotti).