Varaldo nella sua attività di scrittore, fortunatissima negli anni ’30, non mancò mai di ritornare almeno periodicamente alla sua Liguria di estremo occidente. Per esempio con il romanzo Un grand’uomo e una piccola donna del 1935. Negli anni ’40 i grandi sconvolgimenti sociali cambiarono radicalmente il suo pubblico ma Mondadori continuò a sostenerlo, per esempio ripubblicando nel 1948 Il chiodo rosso che era comparso in prima edizione nel 1942.

È probabilmente il romanzo migliore di Varaldo di quel periodo; con la sua consueta abilità narrativa intesse una trama sicuramente avvincente ricorrendo in maniera sapiente al fascino dell’ambientazione (dopo un prologo a Roma l’azione si sposta stabilmente a Sanremo), a temi particolari come la “ludopatia” e la superstizione – legati tra loro – una bella e non convenzionale storia d’amore, e inserendo con garbata ironia il risultato della propria esperienza maturata nel genere giallo per mezzo di una ben dosata porzione di imprevedibile mistero e di suspense; il risultato complessivo è una sintesi efficace del romanzo borghese dell’epoca.

Il gioco d’azzardo è stato spesso al centro di opere letterarie – basti ricordare, proprio sulla roulette, il capolavoro di Dostoevskij Il giocatore o lo splendido racconto di Puškin La donna di picche (disponibile in questa biblioteca Manuzio nell’ottima traduzione di Leone Ginzburg https://liberliber.it/autori/autori-p/aleksandr-sergeevic-puskin/la-donna-di-picche/) – e non è infrequente che questo aspetto delle inclinazioni umane venga abbinato a pratiche e abitudini superstiziose. Fa parte dell’eterna ricerca del guadagno e dell’inconoscibile. Non potremmo dirlo in maniera più felice di quanto fa lo stesso Varaldo:

«Poiché lo spirito umano, che si dibatte nel finito, non fa che cercare l’infinito. E lo cerca in tutti i modi, a cominciare dalla fede, per finire nelle superstizioni.»

Così tra una passeggiata sull’Imperatrice – lo splendido lungomare sanremese che prende il nome da Maria Alexandrovna, imperatrice di Russia la quale soggiornò a Sanremo negli anni ’70 dell’800 e che fece arricchire il lungomare stesso di splendide palme grazie a una sua munifica donazione – una corsa in auto fino ad Ospedaletti, una puntata ferroviaria a Ventimiglia e altalenanti sedute alla roulette del Casino, Varaldo ha modo di descrivere gli ambienti a lui cari, compreso lo splendido tramonto sul mare e l’attesa del benaugurante “raggio verde”. Ma la superstizione nasce a Roma, dove l’ingegnere Lamberto Saraceni scalcia e disdegna un chiodo bizzarramente tinto di carminio prontamente raccolto invece da un passante che si rivela essere poi il superstizioso giocatore Rinaldo Allori. Come si sa il chiodo ha un valore positivo per i superstiziosi, e non solo quello storto raccolto sui palchi del teatro, ma più generalista, legato al concetto di “toccare ferro” come scaramanzia, e il “ferro” – quello di cavallo – è fissato con chiodi per cui il chiodo raccolto per strada porta con sé l’influsso benefico dal “ferro” dal quale proviene. Da questo ritrovamento del “chiodo rosso” consegue il trasferimento di un’intera banda di amici a Sanremo proprio per sfruttare favorevolmente al gioco la potenzialità dell’incredibile talismano. Saraceni finisce per trovarsi anche lui, assolutamente non giocatore e non superstizioso, a Sanremo come ingegnere progettista inviato dalla ditta per la quale lavora. È solo un caso? Lo sapremo alla fine, dopo tumultuosi avvenimenti, durante i quali scopriremo anche che il potere del chiodo rosso non si limita al gioco ma anche all’amore. Ma al di sopra di ogni “fortuna” c’è sempre la volontà umana, la caparbietà maschile e la sensibilità femminile, che indirizzano gli avvenimenti e il caso è quasi sempre governato dalle nostre azioni. E non vale troppo affidarsi alla scaramanzia, ma neppure alle cure dell’organizzazione sociale, infatti:

«È sempre cosí: la società, legiferando, finge di tutelar l’individuo ed invece tra le pieghe non pensa che a se stessa.»

Ma Varaldo si astiene dal fare del superficiale moralismo: racconta solo una storia piacevole molto ben congegnata, e si astiene anche da ogni tipo di satira sociale. Adopera invece bene l’ironia verso le abitudini della ricca borghesia e verso una società dalla quale non conviene aspettarsi troppo, così come è pericoloso attendersi troppo da un amuleto come il “chiodo rosso”.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Dopo una giornata laboriosa Lamberto si concesse una serata di svago. Sapeva di trovar qualche amico, o almeno qualche conoscente al bar dell’Albergo Quirinale, e, poiché la solitudine gli pesava ormai da tempo, decise d’andarsi ad imbrancare alla ventura là dove sapeva che sarebbe stato accolto simpaticamente. Si vestí ed uscí. Faceva ancora freddo, ma la serata prometteva un bel sereno stellato. S’incamminò per il viale deserto ed asciutto, felice di poter fare quattro passi nel silenzio e respirare in libertà.
Ma proprio quattro passi aveva appena contati che urtò qualche cosa di metallico, risonante contro l’orlo del selciato. E poiché c’era un lampione che pareva un pezzo di plenilunio, Lamberto, per istinto, pur senz’essere curioso di natura, guardò. Vide un chiodo che gli parve rossastro, se pure non era un gioco di riverbero del lampione. Un po’ stizzito per quell’intoppo che avrebbe potuto intaccargli malamente la scarpetta lucida, con un colpo di tallone lanciò il chiodo rosso dietro di sé.
— Grazie infinite, signore! – mormorò una sardonica voce.

Scarica gratis: Il chiodo rosso di Alessandro Varaldo.