In questo libro pubblicato nel 1929 Giovanni Cau mette a frutto la sua conoscenza delle tradizioni folcloristiche scandinave, affinata grazie soprattutto alla moglie svedese Helga Helmqvist, artista e pittrice che questo libro illustra con alcune decorazioni in testa e in fondo ad ognuna delle cinque favole e con alcune tavole a colori e in bianco e nero. Helga Helmqvist è anche autrice dell’utile introduzione.

Il Troll è una figura mitica del folklore nordico – ma sovente esportata anche in quello anglosassone – spesso al centro di opere letterarie non indirizzate al mondo dell’infanzia. Penso ad esempio, tra i tanti, al Peer Gynt di Ibsen. Tradizionalmente i Troll sono presentati come malvagi, magari non molto intelligenti, ma dediti al male. Popolano le foreste, ma anche i ghiacciai, il sottosuolo, le profondità marine, le caverne. Talvolta vengono presentati come nemici della luce e rappresentanti di un regno delle tenebre. La scrittrice finlandese Tove Jansson ha invece proposto tra gli anni ’40 e ’80 del secolo scorso una versione benevola del Troll (i Mumin) nei suoi racconti per bambini.

Nella sua introduzione Helga Helmqvist equipara il Troll (e le altre figure della tradizione precristiana scandinava) ai maghi, alle fate, ai folletti, alle sirene. Il Troll è però più accostabile all’orco e anche in queste favole di Cau si presenta molto spesso come nemico dell’umano, contrastato però da altre entità come gnomi e folletti decisamente più benevoli. Fin dalla prima favola vediamo infatti come un gesto pietoso del protagonista spiani la strada a una cristiana celebrazione del Natale.

Abbiamo anche alcune descrizioni dell’aspetto fisico del Troll (e la pittrice Helga ce ne fornisce anche un’interpretazione grafica interessante). La penna di Cau conduce quindi chi legge in veri e propri “luoghi da favola”, nei quali il mistero del mondo fiabesco, affascinante ma spesso crudele, si stempera nelle lunghe notti crepuscolari della Lapponia. Nella favola conclusiva troviamo infatti una versione certamente particolare della tradizione degli antichi poemi nordici dove gli gnomi combattono gli dei della luce per sottrarsi al loro destino che li condanna a vivere nelle tenebre delle viscere della terra. Cau presenta la contrapposizione tra luce e notte secondo interessi contrapposti del mondo animale, presieduto ovviamente da un malvagio Troll. Ma il Troll è anche legato al mondo sotterraneo delle miniere: forgia metalli e custodisce favolosi tesori.

Cau certamente non si limita alla trascrizione del racconto orale, anche se attinge abbondantemente dalla narrativa popolare. Nel solco tracciato dai fratelli Grimm, ma anche dal francese Galland, primo importatore e manipolatore delle novelle arabe, e secondo l’uso invalso dalla narrativa dei romantici, Cau assolve alla funzione estetica, delegata all’autore, di abbellimento del racconto. Funzione che con modalità ed esiti diversi hanno poi assolto scrittori come Tolkien, con le sue complesse ricostruzioni di saghe o Angela Carter e le sue rivisitazioni fiabesche.

Ma Cau risulta anche fedele custode dello spirito del folklore scandinavo e ci propone quindi la sua personale ed efficace versione della fiaba d’autore. Fiaba che possiamo apprezzare nello spirito di Mircea Eliade, il quale considera il mito una storia vera che si svolse al tempo dei tempi, utile come modello per i comportamenti umani; quando il mito cessa di essere una rivelazione dei misteri, il suo effetto si attenua, si offusca e diviene fiaba o leggenda. Non si possono rivivere i miti ma si può riprodurre intatta la loro energia vitale e riutilizzarla nell’arte e nella letteratura; Cau si sforza con qualche apprezzabile risultato di sfruttare questa linfa.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Le famiglie dei lapponi sparse sulle pendici dei «fiell» nel versante meridionale del grande spartiacque norvegese-svedese, soffrirono, in quegli anni di quel secolo ormai lontano, una grande carestia. A causa di una lunga guerra tra il re dei danesi e il re degli svedesi, le carovane lapponi che si recavano ai piccoli porti del golfo di Botnia, il «Botniska Viken», per scambiarvi i loro prodotti con farina e sale dei velieri del sud, ritornavano nelle loro montagne con le pulke, le slitte lapponi a forma di scarpa, ancora piene della loro stessa roba che non avevano potuto scambiare per l’assoluta assenza di velieri mercantili.
Le pelli e i formaggi si ammucchiavano così nelle «visthus» senza profitto e per l’eterno destino che non manda mai sole le sventure, uno sgelo improvviso aveva travolto intere torme di renne, privando dell’unico loro avere centinaia di famiglie. I poveri lapponi soffrirono – così – orrendi inverni, stentando, nella speranza di tempi migliori.
Poichè dunque a causa di quella lunga guerra pochi o punti erano i velieri che si avventuravano nel golfo di Botnia, i lapponi pensarono che rimaneva aperta a nord la costa norvegese, almeno ai bastimenti battenti bandiera tedesca ed inglese, e che con questi si sarebbe potuto tentare uno scambio di prodotti. Occorreva però risalire lo spartiacque lappone e discendere nei fiord col rischio poi di non trovare nessuno che comprasse.


Si ringrazia la Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova (https://www.bibliotecateresiana.it/) per la disponibilità dimostrata fornendoci generosamente le scansioni dell’originale.

Scarica gratis: I troll di Giovanni Cau.