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Nell’ambito di una polemica spesso aspra e talvolta eccessiva e ingiusta verso gli anarchici “associazionisti”, in particolare Errico Malatesta, possiamo inserire questo Il contadino e la questione sociale. Schicchi dice:
“Il dialogo Fra Contadini di Enrico Malatesta e il Canto dei Mietitori di Mario Rapisardi non erano allora che pure finzioni poetiche.
È noto che Malatesta opera in direzione dei contadini in un’ottica che è rovesciata rispetto a quella marxista, e considera l’iniziativa rivoluzionaria dei contadini essenziale per la crescita dell’opposizione rivoluzionaria al regime della borghesia. Il suo dialogo Fra contadini è un tentativo teorico-propagandistico che va in quella direzione.
Schicchi tiene invece a porre in rilievo ogni elemento di contributo controrivoluzionario che la storia possa avere evidenziato riguardo alle posizioni della classe dei contadini durante le crisi rivoluzionarie e prerivoluzionarie. Non manca altresì di evidenziare come il contributo del contadino all’arte, alla letteratura, alla scienza sia sempre stato scarso.
Il contributo all’elaborazione teorica degli scritti di Schicchi è certamente scarso, anche se non gli si può negare la carica di passione da combattente indomito. Al dibattito di idee – al quale pure dedica un capitoletto in questo stesso testo – antepone il gesto dimostrativo. E lo scontro con Malatesta, che in questo stesso periodo è teso anche a contrastare il “ravacholismo” – dal nome dell’anarchico francese Ravachol, autore di numerosi attentati – tese a radicalizzarsi in diverse circostanze.
In occasione del congresso di Capolago del 1891 lo Schicchi definì i partecipanti al congresso un “movimento anarchico-bizantino”; Malatesta cercò di indurlo a partecipare e a dare il suo contributo. Ma lo Schicchi si mantenne solido sulle sue posizioni che lo collocano nel filone dell’individualismo anarchico e che lui concepiva come unica sponda per arginare la società borghese alla quale resistette anche negli anni più duri del fascismo con spirito contraddittorio ma sempre refrattario ad ogni compromesso.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Durante la rivolta dei villani in Inghilterra (1377-1381), il giovane Re Riccardo II incontrò a caso un esercito di trentamila ribelli, guidato da Wat Tyler; il quale, essendosi avanzato per invitare il re a mantenere la promessa fatta ai contadini, fu pugnalato dal mayor di Londra, Guglielmo Walworth. E mentre la folla urlava: «Ammazzate! Ammazzate! Hanno ucciso il nostro capitano!» – il re, pieno d’ingegno e di valore più che non lo comportasse la sua età, postosi innanzi arditamente fra i contadini, gridò: «Che volete, padroni miei! Io sono il vostro capitano e il vostro re».
È superfluo dire che l’ebete e vile contadiname, dimenticando di avere in quel momento la forza in mano per vincere e imporre la sua volontà, e senza neanche guardare il cadavere ancor caldo e sanguinante di Wat Tyler, seguì, pecorinamente contrito e stupidamente commosso, Riccardo II fino alla Torre di Londra, tanto era stato l’effetto magico di quel titolo ad essi affibbiato: Padroni miei! Ma ciò non impedì che il re di lì a poco, raccolto un esercito di quarantamila ribaldi, li facesse tutti scannare come cani.
E così finirono i padroni del re.
Scarica gratis: Il contadino e la questione sociale di Paolo Schicchi.