Poesie giovanili di Fabiani, scritte tra il 1888 e il 1894 quando l’autore aveva poco più di vent’anni. La raccolta prende il titolo dalla prima poesia, in versi martelliani, tendente al macabro e poco chiara, con versi decisamente sciatti e mal riusciti. Meglio in poesie successive dedicate al figlioletto.
Chiudono il volumetto tre poemetti ispirati rispettivamente ad Agatodemo, cartografo egiziano, alla sua terra natale, il Friuli, e alle fatiche penose dei braccianti. Se pur abbastanza lontani dall’eccellenza, troviamo qui spunti di tensione ed emozione che li rendono comunque interessanti.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
A notte, quando tutto nel sonno immenso dorme,
quando il silenzio incombe sovra le umane forme,
per i calli deserti, per la piana infinita,
dove non brilla un palpito di moto nè di vita,
di passati recando una triste coorte,
lento s’avanza, e cupo il treno della Morte.
Di scheletri affacciantisi un occhieggiar maligno
ride dai vetri, tinti di bagliore sanguigno:
Di sovra i crani tersi, il pio raggio lunare
scende alla strana schiera: S’alzan risate amare,
crocchian l’ossa, ed è un secco battere di palmenti
misto a un cozzar di pelvi e a un digrignar di denti.
E quando per la piana più ratto corre il treno,
un canto lento e rauco esce dal cavo seno
di quelle larve misere, di que’ raminghi spetri,
che ridono beffardi affacciandosi ai vetri.
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