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Rubè fu pubblicato a Milano nel 1921 nel momento storico nel quale si andava inasprendo la lotta tra socialismo e fascismo. La critica vide subito in questo romanzo il primo esempio dell’“anti-eroe” nella letteratura italiana; l’uomo inetto e succube di fronte alla vacuità della vita e impotente di fronte alle numerosissime sue sfaccettature. Vanamente il protagonista si sforza di indossare la maschera dell’uomo superiore e dell’eroe.
Filippo Rubè è un giovane siciliano laureato in legge che si trasferisce a Roma per fare pratica nel campo dell’avvocatura e per provare la carriera politica. Fin dall’inizio si delinea la figura dell’intellettuale velleitario: individua correttamente i limiti della società nella quale vive, saprebbe indicare le direzioni di sviluppo sociale che potrebbero essere opportune, individua quindi l’errore e la strada per correggerlo. Ma non sa agire con spontaneità e naturalezza. Si contorce nella sua malattia dell’intelligenza, si avvilisce in continue autoanalisi che finiscono per distruggerlo e a rendere falso ogni suo gesto, ipocrita ogni rapporto umano, ambigua ogni iniziativa anche quando appare semplice. Risulta contorta quindi ogni sua sofferta decisione. Nella sua vita sentimentale inquieta e incerta si sente diviso tra l’aristocratica Mary, la giovane Eugenia e la bellissima Celestina. Finisce per sposare la donna che in fondo ama ma solo perché le circostanze lo costringono a questo passo, dopo aver attraversato tuttavia situazioni di meschinità morale.
È acceso interventista e si arruola al momento dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale ma ha consapevolezza della propria viltà e per ammantarsi invece di un’aura di eroismo si fa audace riportando ferite e gloria. Ugualmente si costruisce una situazione ambigua al momento della morte della propria amante durante una gita sul lago. Non ne è affatto responsabile ma sembra adoperarsi al meglio perché i sospetti ricadano proprio su di lui assumendo un incomprensibile atteggiamento oscillante tra il disperato e il timoroso. Anche in politica finisce per sprofondare nell’ambiguità oscillando tra socialismo e fascismo, alternando entusiasmi ingenui a uno scetticismo banale fondato su retoriche disquisizioni e cavilli. La sua esistenza quindi, svolgendosi tra difficoltà economiche, frustrazioni professionali e alternanti passioni politiche, giunge ad un folle epilogo che simboleggia l’apice dell’ambiguità nella quale è vissuto e lo scontro nel quale trova la morte rimane di difficile decifrazione in quanto a stabilirne le responsabilità.
Borgese riesce quindi al meglio a fornire il quadro d’ambiente nel quale si consuma la crisi generazionale e dei valori tradizionali ma che è indice di una crisi ancora più vasta della politica italiana, crisi nella quale si muovono spesso i protagonisti della letteratura italiana di quel periodo, nella quale questo romanzo ha collocazione non certo marginale.
Sinossi a cura di Virginia Vinci
Dall’incipit del libro:
La vita di Filippo Rubè prima dei trent’anni non era stata apparentemente diversa da quella di tanti giovani provinciali che calano a Roma con una laurea in legge, un baule di legno e alcune lettere di presentazione a deputati e uomini d’affari. Veramente egli aveva portato qualcos’altro del suo, segnatamente una logica da spaccare il capello in quattro, un fuoco oratorio che consumava l’argomentazione avversaria fino all’osso e una certa fiducia d’essere capace di grandi cose, postagli in cuore dal padre; il quale era segretario comunale a Calinni, e, conoscendo bene l’Eneide in latino e la vita di Napoleone in francese, giudicava che tutti, a cominciare da se medesimo, fossero intrusi in questo mondo fuorché i geni e gli eroi. Ma l’essersi messo nello studio dell’onorevole Taramanna gli aveva piú nociuto che giovato, tanta era l’oppressione di quell’uomo massiccio tutto scuro che lo soverchiava dalla spalla e gli toglieva il sole.
Scarica gratis: Rubè di Giuseppe Antonio Borgese.