Pubblicato per la prima volta nel 1838 con il titolo Pauline, Il Conte assassino è tra le prime opere di Alexandre Dumas. Pur non raggiungendo mai la notorietà de I tre Moschettieri o de Il Conte di Montecristo, è comunque un romanzo dalla struttura originale.

Il conte assassino è composto infatti dalla perfetta fusione dei racconti di tre narratori distinti, ciascuno protagonista di una parte della vicenda.

La storia si apre nel 1834 quando Alexandre Dumas, primo narratore, ritrova in una sala d’armi il vecchio amico Alfredo di Nerval.

Insieme ricordano i fatti avvenuti durante il loro precedente incontro alcuni anni prima (Dumas si autocita scrivendo di averne già fatto cenno nel suo Viaggio in Svizzera). In quella occasione Alfredo era in compagnia di una dama misteriosa di cui Dumas era riuscito a scoprire solo del nome: Paolina.

Ora che tutto è finito, Alfredo può raccontare all’amico tutto quello che è accaduto in quegli anni burrascosi ed il motivo del suo comportamento sfuggente.

Con un lungo flashback, attraverso le voci di due nuovi narratori, Alfredo di Nerval e Paolina di Meulien, conosceremo come sia avvenuto il loro primo incontro, le sciagurate nozze di Paolina con il conte Orazio di Beuzeval e come questi abbia poi cercato di ucciderla. Alfredo racconterà dunque a Dumas della loro fuga in Inghilterra e della terribile malattia che porterà Paolina alla morte.

Una storia raccontata a ritroso, ricca di colpi di scena che ancora oggi tengono alta l’attenzione del lettore.

Sinossi a cura di Marina Bestetti

Dall’incipit del libro:

Volgeva la fine dell’anno 1834. Noi stavamo novellando, un sabato sera, in una camera attigua alla sala d’armi di Grisier, allorchè la porta si aprì, e vedemmo entrare Alfredo Nerval.
Chi ha letto il mio Viaggio nella Svizzera, si ricorderà forse del giovane, che serviva da cavaliere ad una donna misteriosa e velata, apparsami per la prima volta a Fluelen, mentre io correva con Francesco per raggiungere la barca che doveva condurci alla rupe di Guglielmo Tell; nè avrà dimenticato che, invece d’attendermi, Alfredo Nerval aveva affrettata la partenza, e lasciando la riva, quand’io n’era ancor lontano circa trecento passi, mi aveva fatto un segno d’addio e d’amicizia colla mano. Di ritorno all’albergo, io aveva domandato se conoscessero quella donna, e mi fu risposto non sapersi di lei fuorchè sembrava soffrir molto, e si chiamava Paolina.
Io aveva già intieramente dimenticato l’incontro, quando, nel visitare la sorgente d’acqua calda de’ bagni di Pfeffers, vidi venire, sotto la lunga galleria sotterranea, Alfredo, che dava il braccio a quella medesima donna da me intraveduta a Fluelen. Scorgendomi, il suo primo movimento fu quello di retrocedere. Sfortunatamente, la strada non permetteva di ritirarsi nè a dritta nè a manca, consistendo essa in una spece di ponte composto di due tavole umide e scivolanti, che, in luogo di essere gettate attraverso il precipizio, in fondo al quale romoreggiava la Tamina sur un letto di marmo nero, eran poste lungo le pareti del sotterraneo, a quaranta piedi circa al disopra del torrente, sostenute da travi conficcate nel macigno./em>

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