(voce di SopraPensiero)

Pubblicato Storia di una montagna di Elisée Reclus.

Forse in nessuno scritto come in questa «Storia di una montagna» il grande geografo libertario riesce a tracciare il filo conduttore tra la sua costante attenzione alla libertà dei popoli e l’osservazione attenta e appassionata dello spettacolo della natura, della geografia fisica, spaziando dall’infinitamente grande al microscopico.
Reclus affronta la descrizione della conformazione di vette e valli, dei fenomeni che le plasmano come le valanghe, le morene i ghiacciai, con un occhio attento per gli esseri viventi, animali e piante che quell’ambiente contribuiscono a rendere vivo; e il tutto con grande delicatezza e precisione. Pubblicato per la prima volta nel 1880 è quasi stupefacente comprendere come Reclus avesse già intravisto la non irrilevanza dei problemi che le conseguenze della ricerca insensata di uno sviluppo indissolubilmente legato al consumo sfrenato, avrebbero causato all’intera umanità. E questa intuizione ce la porge ancora intatta attraversando, a piedi, la natura che ci descrive.

Sinossi a cura di Paolo Alberti.

Dall’incipit del libro:

Era triste, abbattuto, stanco della vita. Il destino era stato crudele verso di me, m’avea rapito gli esseri più cari, aveva rovinati i miei progetti, distrutte le mie speranze. Degli uomini, che io chiamavo amici, al sopraggiungere della sventura, m’aveano abbandonato o s’erano schierati contro di me: l’intera umanità, colle sue passioni sfrenate, col suo egoismo, m’ispirava disgusto. Volevo ad ogni costo fuggirla, sia per morire, sia per cercare nella solitudine un po’ di forza e la calma dello spirito.
Senza tampoco propormi una meta, era uscito dalla città rumorosa e mi dirigevo verso le grandi montagne, il cui profilo si disegnava sul lembo estremo dell’orizzonte.
Un passo dopo l’altro, preferivo le strade meno frequentate e mi fermavo la sera nelle osterie fuor di mano. Il suono di una voce umana, il rumore di un passo, mi facevano trasalire; ma quando camminavo da solo, ascoltavo con melanconico diletto il canto degli uccelli, il mormorio del fiume, e i mille rumori che salgono dai boschi immensi.
Finalmente, camminando sempre a caso per strade o per sentieri, giunsi alla prima cerchia di montagne. La spaziosa pianura, listata, di solchi, finiva bruscamente ai piedi delle roccie e alle falde dei declivi ombreggiati dal castagno. Le alte cime azzurrine, che scorgevo da lungi, erano scomparse dietro quelle creste meno elevate ma più vicine. Alla mia destra, il fiume, che più basso si adagiava in un letto spazioso, si rompeva contro i massi, scendeva rapido fra le roccie liscie e vestite di muschio nerastro.