In Diderot troviamo costantemente il piacere di immaginare “l’altro”, di invertire i ruoli, il gusto del “pastiche”, scrivere da un altro punto di vista. D’altra parte la sua attività di scrittore iniziò negando l’opposizione tra originalità e sottomissione alle norme: in base a questa sua ricerca di attitudini a lui congeniali scrisse sermoni per i missionari portoghesi in partenza per l’India, e poi recensioni di opere teatrali, articoli su giornali, traduzioni. Predilesse il ruolo da “avvocato del diavolo”;

cercò l’interlocutore adatto per poter esporre la propria tesi. Volle per sé la compilazione dell’articolo Tuttavia nell’Enciclopedia; leggiamo nella sua biografia che dopo solo due settimane che era entrato al Collège Louis-le-Grand venne punito per aver scritto i compiti per un amico e nonostante la punizione raccontò la cosa a suo padre con entusiasmo. Dopo tanti anni si trovò ancora bene nel panni di quel ragazzino.

Per realizzare queste sue “finzioni” si servì spesso della forma del dialogo, che poi si trasforma quasi sempre in interrogatorio. È così anche in questo Paradosso dell’attore, che scrisse in una prima stesura nel 1769 scegliendo la forma monologica e trasformò in dialogo nel 1773 durante la sosta in Olanda nel viaggio che lo avrebbe portato a Pietroburgo. Fu tuttavia pubblicato solo postumo in prima edizione nel 1830. Il rapporto tra conoscenza e comunicazione, che è un po’ il tema sotteso in questo Paradosso dell’attore, è problema epistemologico che Diderot aveva già affrontato nella Lettera sui ciechi e nella Lettera sui sordi e muti. Lo scopo è superare la contrapposizione tra ordine naturale e ordine artificiale, spiegando che la sensazione non segue l’ordine lineare del discorso. Qualunque ordine tende a risultare artificiale poiché non possiamo esimerci da ricondurre a categorie di “priorità” sensazioni che invece si presentano simultaneamente. E sarà così anche negli altri scritti dedicati al teatro: Colloqui sul figlio naturale, Sulla poesia drammatica e soprattutto in Il Nipote di Rameau; il corpo che percepisce e agisce è il paradigma che traduce e rende comprensibili i codici ancora da ridefinire. Il centro della tesi risulta essere quindi l’incompatibilità tra sensibilità e autocontrollo, tesi già adombrata e anticipata in altri testi e lettere e che sarà tema non secondario anche nel Sogno di D’Alembert.

Nella filosofia biologica di Diderot è sottolineato spesso il ruolo del diaframma nella costituzione della sensibilità. D’altra parte nella Storia naturale di Buffon leggiamo:

«Nell’uomo e negli animali che gli assomigliano, il diaframma sembra essere il centro del sentimento.»

Diderot stesso nei suoi Elementi di fisiologia scrive:

«Il diaframma è la sede di tutti i nostri dolori e di tutti i nostri piaceri. Il suo legame, la sua simpatia con il cervello. È la differenza del diaframma che fa gli animi pusillanimi e gli animi forti: ancora non si sa come gli si dà del tono; solo l’età ha una qualche presa su questa membrana: la testa fa gli uomini saggi, il diaframma gli uomini compassionevoli e morali. Sono le due grandi molle della macchina umana».

Non ci si sorprende quindi a leggere questo concetto nel Paradosso dell’attore:

«La sensibilità, secondo la definizione sinora adottata, è, mi sembra, quella disposizione d’animo parallela alla debolezza degli organi, derivata dalla mobilità del diaframma, dalla vivacità dell’imaginazione, dalla delicatezza dei nervi, che inclina al compatire, al fremere, all’ammirare, al temere, al turbarsi, al piangere, allo svenire, al soccorrere, al fuggire, al gridare, all’impazzire, all’esagerare, al disprezzare, al disdegnare, al non avere alcuna precisa idea del vero, del buono e del bello, all’essere ingiusto ed all’essere matto. Moltiplicate le anime sensibili, e voi moltiplicherete nella stessa proporzione le buone e le cattive azioni d’ogni genere, gli elogi ed i biasimi esagerati.»

Lasciamo quindi a chi legge lo scoprire e eventualmente contestare i vari passaggi logici che conducono da queste basi che ho cercato di delineare al centro del paradosso:

«È l’estrema sensibilità che fa gli attori mediocri; è la sensibilità mediocre che produce la folla dei cattivi attori; è la mancanza assoluta di sensibilità che prepara gli attori sublimi.»

E in una lettera a Grimm ribadisce:

«È un bellissimo paradosso. Io sostengo che è la sensibilità a rendere gli attori mediocri; l’estrema sensibilità, gli attori dalla mentalità ristretta; la compostezza e la testa, gli attori sublimi»

Questo metro di giudizio si estende per Diderot anche fuori dal teatro inteso come spazio chiuso, dedicato ai giochi dell’attore, per coinvolgere il Teatro del Mondo che talvolta si riproduce in scena. Diderot prende molto sul serio le sue riflessioni sul teatro (e anche i suoi drammi) e realizza una contaminazione tra il teatro e le altre arti, liberali o meccaniche: la filosofia, la pittura, la dialettica, la musica, e anche le parole che vengono pronunciate dal palco e i gesti del pubblico. E in questo testo si celebra la ricchezza che è contenuta in tutto questo.

Vissuto nel XVIII secolo, Diderot previde problemi, soluzioni e metodologie che saranno considerati rilevanti solo all’inizio del XXI secolo: le sfide della frenetica raccolta di informazioni, i cambiamenti dei mezzi di conoscenza, il cambiamento delle piramidi geopolitiche, la crescente attrazione per la civiltà orientale, la potenzialità del silenzio come forza retorica, sia in teatro che nella vita reale, l’importanza di padroneggiare le emozioni e lo studio dell’oggettività come sentimento, l’ipocrisia filosofica della nostra compassione verso i ciechi o i sordi, la non fiducia nella superiorità di coloro che pretendono di vedere e sentire tutto, di dire tutto e di capire tutto… L’attore sfugge a ogni teleologia, e mette in luce il paradosso tra le qualità estetiche e i valori morali incarnati dall’attore stesso, capace di interpretare tutti i ruoli, e di assumere il trascurabile e farne una qualità.

Il testo è tradotto, ed è questa la prima traduzione italiana del 1909, da Alessandro Varaldo che ne cura anche una interessante e brillante prefazione.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Dionigi Diderot, che si sappia, non fu mai critico drammatico di professione, benchè possedesse lo spirito caustico, la penetrazione sottile, la cultura solida e la esemplare franchezza che debbono essere le doti di chi giudica in teatro. Pure in quei tempi, quasi eroici per l’intellettualità, si discuteva e si scriveva sulle opere di prosa o di poesia che il teatro bandiva, si discuteva e si scriveva sugli attori e le attrici, assurti dalla bassezza d’istrioni alla degnazione lusinghiera d’artisti. Diderot tuttavia non fu che un dilettante: Bourget lo direbbe il più gran dilettante francese per la facilità geniale che possedeva in sommo grado di passare dall’astrazione scientifica più formulata, alla dissertazione ed alla creazione letteraria ed artistica più leggiera, più analitica e sprizzante di tutta quella fantasia risolventesi in motti finissimi, propria del suo secolo e della sua nazione. Fu critico d’arte invece e si applicò e si gettò a capofitto nelle relazioni dei Salons: può dirsi quasi il primo critico d’arte che non facesse del puro impressionismo dilettante, ma che partisse da sistemi ben ragionati, da piattaforme incrollabili e procedesse con formule precise, e con intendimenti fissi e stabiliti giudicasse, lodasse, e, quel che è del massimo indice, acerbamente scomponesse fame ed opere. Fu autore drammatico, riuscendo innovatore in quei giorni di dogmi venerati con una commedia sana, semplice, della vita comune, il Padre di famiglia, per non parlare di un dramma il Figlio naturale, che fu come una sfida al convenzionalismo artistico, morale e sociale.

Scarica gratis: Paradosso sull’attor comico di Denis Diderot.