Ugo Santamaria
Quando una passione attecchisce improvvisamente in un essere debole e malato, è capace di divampare in indomabile incendio.
— Perbacco!
E, rimettendomi il cappello, mi voltai a guardare la bella sposina tra il fidanzato e la vecchia madre.
Le ultime masserizie del becchino Adrian Prochorov furono caricate sul carro funebre, e la scarna pariglia per la quarta volta si trascinò dalla via Basmannaja alla Nikitskaja, dove il becchino traslocava con tutta la famiglia.
C’era una volta una povera donna rimasta vedova, con un figliolino sulle braccia. Era malaticcia, e con quel bimbo da allattare poteva lavorare pochino.
Dinanzi alla caserma dei soldati c’è un largo che non è piazza e non è via: a dieci passi dalla garitta della sentinella si allineano i taxi: e siccome il posto è fuori mano, i conducenti ne approfittano per fare toletta alle loro macchine, tra una corsa e l’altra.
Fuori faceva un gran freddo. Quarantotto ore prima il termometro a spirito si era rotto a 60° sotto zero, e da quel momento la temperatura non aveva fatto che abbassarsi.
— Date un’occhiata all’orologio di salotto, Anna Ivànovna: che ora abbiamo?
— È già la quarta volta che mi fate lo stesso discorso, Atanasio Petróvitch: mancano tuttavia tre quarti a mezzogiorno.
Carlotta Voulicevick, mia moglie, era allora mia fidanzata, quindici anni or sono. Io ne avevo ventidue, lei diciannove, e ci amavamo con tanto ardore, ed avevamo lottato con sì indefessa costanza per indurre i nostri genitori a fidanzarci…
Suonavano allora le 11 ore di sera.
La giovane dama era già vestita quasi da un’ora pronta pel ballo. Sotto al portone la carrozza attendeva…