Il soldo bucato.

di
Luigi Capuana

tempo di lettura: 7 minuti


C’era una volta una povera donna rimasta vedova, con un figliolino sulle braccia. Era malaticcia, e con quel bimbo da allattare poteva lavorare pochino. Perciò faceva dei piccoli servizi alle vicine, e così lei e la sua creatura non morivano di fame.

Quel figliolino era bello come il sole; e la sua mamma, ogni mattina, dopo averlo fasciato, lavato e pettinato, un po’ per buon augurio, un po’ per chiasso, soleva dirgli:

— Bimbo mio, tu sarai barone!

— Bimbo mio, tu sarai duca!

— Bimbo mio, tu sarai principe!

— Bimbo mio, tu sarai re!

E ogni volta che lei gli diceva: tu sarai re, il bimbo accennava di sì colla testina, come se avesse capito.

Un giorno venne a passare proprio il re; e, sentito: bimbo mio, tu sarai re! se la prese in mala parte, perché non avea avuto ancora figliuoli, e se ne accorava dimolto.

— Comarina, non vi arrischiate più a dir così… o guai a voi!

La povera donna, dalla paura, non disse più nulla. Però quel figliolino, ora che la sua mamma stava zitta, ogni mattina, appena fasciato, lavato e pettinato, si metteva a piangere e a strillare.

Lei gli diceva:

— Bimbo mio, tu sarai barone!… tu sarai duca!… tu sarai principe!…

Ma il bimbo non si chetava. Talché una volta, per provare, tornò a dirgli sotto voce:

— Bimbo mio, tu sarai re!

E il bimbo accennò di sì colla testina, come se avesse capito, e non strillò più.

Allora la povera donna si persuase che quel suo figliuolo dovea avere una grande fortuna: e, temendo la collera del re, già pensava di mutar paese.

Intanto, poiché l’avea divezzato, quando le capitava qualche servizio da fare, pregava una vicina:

— Comare, tenetemi d’occhio il bimbo, vado e torno in due minuti.

Un giorno che le avvenne di tardare, la vicina era seccata di tenere in braccio quel cattivuccio che piangeva, perché voleva la mamma. In quel punto comparve un cenciaiuolo.

— Cenci, donnine, cenci!

— Lo volete questo cencio qui?

— Se ci si combina, lo prendo.

— Ve lo do per un soldo!

Il cenciaiuolo le prese il bimbo di braccio e le mise in mano un soldo bucato.

A quella scena, lei e le altre vicine ch’eran presenti, ridevano: intanto il cenciaiuolo svoltava la cantonata e spariva. Cerca, corri, chiama… L’avete più visto?

Figuriamoci i pianti della povera mamma, quando seppe la sua disgrazia!

Corse, piangendo, dal re.

— Giustizia, Maestà! Mi hanno rapito il bambino!

— Bimbo mio, tu sarai re! — le rispose il re, facendole il verso, per canzonarla.

E la mandò via, tutto contento che quel malaugurio per la sua famiglia fosse levato di mezzo.

Gli occhi della povera donna parevano un fiume; girava tutta la giornata, fermando la gente:

— Buona gente, avete incontrato, per caso, il cenciaiuolo che mi ha rubato il mio bambino?

La gente, che non ne sapeva nulla, la prendeva per matta.

Il giorno della disgrazia, la vicina le avea dato il soldo bucato lasciato in mano dal cenciaiuolo; ma la povera donna, dalla rabbia che aveva, lo buttò via.

La mattina dopo apre un cassetto… il soldo bucato era lì!

— Soldaccio maledetto, non ti voglio neppur vedere!

E lo buttò via nuovamente, dalla finestra. Ma, la mattina dopo torna ad aprire quel cassetto, e che rivede?… il soldo bucato!

Richiuse il cassetto con stizza:

— Fossero almeno dieci lire! Mi comprerei uno straccio di vestito.

Non avea finito di dirlo, che sentì lì dentro un suono di soldi rimescolati. Sorpresa, riapre. Pareva che quel soldo avesse figliato. Oltre a quello, ce n’erano tanti da fare, giusto, le dieci lire!

D’allora in poi, quando aveva bisogno di quattrini, bastava che dicesse:

— Soldino mio, vo’ cento lire; vo’ mille lire!

Le cento lire, le mille lire erano subito lì.

La buona donna non si teneva questa fortuna per sé sola: faceva molte carità a tutte le persone bisognose al pari di lei, ed era già diventata una benedizione del cielo.

Ma lei quel bene lo faceva sempre col pensiero fisso al figliolino perduto.

— Che le importava di tanta fortuna, senza il suo bambino?

E sperava sempre che un giorno il Signore l’avrebbe consolata.

Passato qualche tempo, il re ebbe il capriccio di comperarsi un magnifico cavallo. Conchiuso il negozio, va allo scrigno dove teneva riposti i quattrini, e si accorge che ci mancava una bella somma.

Appostò due guardie nella stanza, notte e giorno, per chiappare il ladro, e dopo due settimane tornò a guardare. Mancava un’altra bella somma!

Si mise in agguato lui stesso: cominciava a sospettare dei suoi servitori.

Una mattina, sente una voce, nell’aria, lontana, lontana:

— Soldino mio, vo’ mille lire!

E, subito, un rimescolìo nello scrigno, come se qualcuno vi prendesse i quattrini a manate.

Apre in fretta in fretta… Le mille lire mancavano, ma lì dentro non c’era nessuno!

— Come andava quella faccenda!

Il re, ch’era anche un po’ avaro, ci perdeva la testa.

Ma, con tutta la sua avarizia, non gli dispiaceva tanto dei quattrini, quanto del dover morire senza figliuoli!

Se la prendeva colla regina, quasi che la colpa fosse stata di lei; e la maltrattava.

— Non era buona di fargli un figliuolo… neppur di terracotta!

La regina lo prese in parola, e fece colle sue mani un bel puttino di terracotta!

— Ecco, se era buona!

Tutti accorrevano al palazzo reale per ammirare quel puttino di terracotta che era una meraviglia. Vi andò anche la povera vedova:

— Oh Dio! È proprio il mio bambino! Ma non ti volevo così, figliolino mio!

E si mise a piangere.

Il re, sentite quelle parole, montò sulle furie: diè un calcio al puttino di terracotta e lo mandò in mille bricioli.

Alla povera donna le parve che le avesse squarciato sotto gli occhi il figliolino perduto: ma che poteva dire a Sua Maestà? Dovette ingozzare quest’altra amarezza e tornarsene a casa zitta zitta.

Intanto nello scrigno del re i quattrini continuavano a mancare; e sempre quella voce, nell’aria, lontana lontana:

— Soldino mio, vo’ cento lire… vo’ trecento lire… vo’ cinquecento lire!…

E quante ne chiedeva la voce, tante il re ne sentiva prendere dal ladro invisibile.

Il re mise dappertutto delle spie, per iscoprire a chi appartenesse quella voce: e un giorno le spie le condussero dinanzi ammanettata la povera vedova dal bambino rapito:

— Era lei che avea detto: soldino mio, vo’ cento lire!…

Il re non volle neppure ascoltare la povera donna, che voleva spiegargli come andava la cosa, e la fece buttare in un fondo di carcere.

Ma da quel giorno egli non ebbe più pace.

Voleva andare a letto? E gli strappavano le coperte: — Maestà, non si dorme!

Chi era? Non si vedeva nessuno.

Si metteva a tavola per mangiare? E gli portavano via i piatti:

— Maestà, non si mangia!

Chi era? Non si vedeva nessuno.

Se durava un altro po’, il re moriva d’inedia; perciò mandò a consultare un vecchio mago.

Il mago, che era poi il cenciaiuolo e avea rapito il bimbo per proteggerlo, rispose soltanto:

— Bimbo mio, tu sarai re!

Visto che quello era il destino e non volendo morire, il re cominciò dallo scarcerare la povera donna e tornò a mandare dal mago.

— Come rintracciare il bimbo, se lo avea rapito un cenciaiuolo e non se ne sapeva più notizia?

Il mago rispose:

— Raccolga i cocci di quel puttino di terracotta e li riattacchi insieme collo sputo.

Il re, sebbene di mala voglia, raccolse i cocci del puttino di terracotta e li riattaccò collo sputo.

— E ora?

— Ora — rispose il mago — prepari una bella festa e faccia così e così…

Il re fece grandi preparativi; poi, secondo le istruzioni del mago, mandò a chiamare la mamma del bimbo a palazzo reale e la invitò a sedersi a lato della regina, Il puttino di terracotta, bello e riaccomodato, vedevasi collocato nel mezzo del salone reale e, attorno attorno, ministri, principi, cavalieri, in gran gala, che aspettavano.

Quando fu l’ora, s’intese nella via:

— Cenci, donnine, cenci!

A questo grido, il puttino di terracotta scoppiò e ne uscì fuori un bel giovanetto, fra un rovesciarsi di monete che ruzzolavano da tutte le parti.

Il re, allegro anche perché riacquistava tutti i suoi quattrini, voleva bruciarlo; ma il bambino corse prima dalla sua mamma e non sapea staccarsele dal collo.

— Bimbo mio, tu sarai re! — Ed era già reuccio, poiché il re lo adottava!

Qui entrò una guardia e disse:

— Maestà, c’è di là un cenciaiuolo: dice che rivuole il suo soldo bucato.

Il re non ne sapeva nulla; ma la povera donna rispose subito: — Eccolo qui!

Saputa la storia di quel soldo, il re, avaraccio, pensò ch’era meglio tenerselo per sé.

E, andato di là, bucò un altro soldo allo stesso modo, e lo diede in cambio al cenciaiuolo. Ma gli andò male.

La prima volta che disse: soldino mio, vo’ mille lire! invece di mille lire furono mille nerbate che lo conciarono per il dì delle feste, tanto che ne morì.

— Bimbo mio, tu sarai re! E si era avverato!

Stretta la foglia, larga la via,
Dite la vostra che ho detto la mia.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il soldo bucato. Fiaba
AUTORE: Luigi Capuana
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti