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Eugenio Giovannetti, traduttore e prefatore di questo testo, sceglie cinque racconti di Keller tratti da raccolte diverse e li offre al lettore italiano quasi come un assaggio delle qualità solide e poliedriche dell’autore. Non rispetta l’ordine cronologico e questo non è probabilmente un pregio. La novella che apre il volume e che dà il titolo alla raccolta è infatti stata scritta successivamente alle due che seguono.
Romeo e Giulietta al Villaggio (Romeo und Julia auf dem Dorfe) e I tre giusti pettinai (Die drei gerechten Kammacher) sono comprese nel primo volume di La gente di Seldwyla (Die Leute von Seldwyla). Nel primo i protagonisti Sali Manz e Vrenchen (Veronichetta in questa traduzione) Marti sono figli di due agricoltori di un villaggio adiacente a Seldwyla. I due genitori sperperano ogni loro ricchezza nell’assurdo processo intentato per contendersi con ostinata reciproca ostilità la proprietà di un terreno attiguo ai loro poderi. Sali e Vrenchen, compagni di giochi fin da bambini, si incontrano nuovamente da giovani adolescenti con i genitori ormai in rovina e si innamorano. Ma vengono sorpresi in campagna dal padre di Vrenchen e Sali per difendere la ragazza dalle ire paterne colpisce l’anziano agricoltore che perde quindi memoria e ragione. Vrenchen per mantenersi dovrà andare lontano, a servizio, e Sali non ha i mezzi per sposarla. Decidono quindi di trascorrere una giornata a una festa di paese e al ballo come fossero due sposini. Il finale è forse tragico, ma pervaso da una dolcezza e un sentimento che lo fa apparire un lieto fine.
I tre giusti pettinai sono tre giovani apprendisti del pettinaio di Seldwyla, di tre diverse nazionalità, zelanti e parsimoniosi. Ambiscono a rilevare l’azienda del padrone, che sul loro lavoro prospera ma con una vita dissipata si indebita, e a sposare la gretta zitella Züs (Susanna in questa traduzione) Bünzlin, agiata proprietaria di una piccola bottega. Quando il padrone, per ridurre le spese e in crisi di sovraproduzione, decide di licenziare due dei tre ragazzi li sottopone a una gara di corsa il vincente della quale rimarrà al lavoro (e sposerà la zitella). Mentre due di loro si accapigliano per prevalere, il terzo, lo svevo Dietrich (Teodorico), non parte neppure, seduce definitivamente Züs e con i soldi di lei compra la fabbrica dei pettini.
Lettere d’amore perdute (Die missbrauchten Liebesbriefe) è tratto invece dal secondo volume di Die Leute von Seldwyla che, per quanto composto in gran parte nel periodo berlinese dell’autore, andò alle stampe a Stoccarda solo nel 1874, diciotto anni dopo il primo. Viggi Störteler è titolare di una prospera ditta di spedizioni ma ha anche velleità letterarie. Vorrebbe la collaborazione della moglie Gritli, brava e semplice casalinga, e le impone, durante un suo viaggio d’affari di scambiare con lui un carteggio amoroso. Gritli è in grave impaccio per assolvere il compito assegnatole dal marito e ricorre a un sentimentale maestrino segretamente suo spasimante. Invia le lettere del marito, appena ritoccate al maestrino e invia al marito, nuovamente ritoccandole un poco, le lettere che l’appassionato maestrino invia a lei. Ma al ritorno Viggi scopre per caso le proprie lettere nella borsa del maestrino, crede che Gritli lo abbia tradito e la caccia e divorzia. Il suo nuovo matrimonio con una donna brutta e avida lo condurrà alla rovina, mentre Gritli e il maestro, ormai maturato e divenuto saggio e responsabile, saranno felici.
Queste prime tre novelle sono quindi ambientate nell’immaginaria cittadina di Selwyla, che l’autore presenta nelle brevi pagine d’introduzione.
«Seldwyla in linguaggio arcaico significa una località piacevole e solatia, e tale è di fatto la cittadina di questo nome situata in qualche posto della Svizzera. È ancora circondata dalla stessa cerchia di mura e di torri antiche come trecento anni or sono, ed è pur sempre rimasta lo stesso paesino. […] Il nucleo e il vanto della popolazione consistono nei giovanotti dai venti ai trentacinque anni: sono essi che dànno il tono, che tengono viva la socievolezza e rappresentano il fasto di Seldwyla. Durante quel periodo giovanile esercitano il mestiere, la professione, l’abilità, quel che insomma hanno imparato, cioè fanno lavorare per loro, sin che possono, gente estranea, valendosi intanto della propria professione per un comodo giro di debiti che costituisce la base di ogni potere e magnificenza e letizia per i signori seldwylesi e che vien quindi tenuto in vita con raffinata reciprocanza e comprensione, ma, si noti bene, sempre soltanto fra questa aristocrazia giovanile.»
La garbata ironia di Keller viene quindi preannunciata in maniera programmatica evidente da questo stralcio dell’introduzione che l’autore antepone alla sua raccolta di novelle.
Il racconto che chiude questa raccolta – Eugenia (Eugenie) – è tratto invece da Sieben Legenden (Sette leggende) della quale raccolta è il racconto d’apertura. Anche l’ideazione di queste novelle risale al periodo berlinese anche se furono pubblicate la prima volta a Stoccarda nel 1872. Scrive l’autore come nota introduttiva a questa raccolta:
«Avendo letto alcune leggende, parve all’autore di questo libretto che nel complesso di tali saghe si manifestasse non solo l’arte della favola religiosa, ma anche a guardar bene, la traccia di un’antica e più profana passione per il novellare.
Ora, come un particolare di nubi, un profilo di montagne, un’incisione di un artista dimenticato spingono il pittore a riempire una cornice, così l’autore s’è sentito invogliato a ridar forma a quelle immagini frammentarie e fluttuanti; certo è avvenuto che talora esse volgano il viso verso un punto cardinale diverso da quello della loro posa tradizionale. Su questa vastissima materia ci si potrebbe diffondere con la massima ampiezza; ma il gioco innocente può, credo, acquistarsi il posticino a cui aspira, soltanto quando sia moderato.»
Eugenia è una giovane bellissima e intelligentissima donna che per un capriccio rifiuta di sposare il proconsole romano Aquilino che pure ama. Si fa quindi cristiana e fingendosi maschio entra in un convento diventando in breve il priore dello stesso. Viene calunniata da una matrona che si era incapricciata dal “bel fraticello”. Per evitare la condanna di Aquilino che finge di non riconoscerla è costretta a lacerare il suo saio e scoprire la propria identità femminile. Convertirà poi Aquilino al cristianesimo e diverrà martire al momento delle persecuzioni dei cristiani. L’intercessione di questa martire cristiana sembra che valga per le scolare pigre rimaste indietro nello studio.
Queste novelle avrebbero dovuto essere radunate, alternate ad altre di argomento profano, in una raccolta, che non vide mai la luce, dal titolo Galatea. Le novelle che avrebbero completato la raccolta apparvero poi, completamente riviste, nella raccolta L’Epigramma. I soggetti delle Sette Leggende – le leggende che l’autore dichiara di aver letto nella sua introduzione – sono quelle delle Legenden di Ludwik Theobul Kosegarten che erano state pubblicate nel 1816.
Orsola (Ursula) – la quarta novella del testo che presentiamo – è la novella che chiude la raccolta di Novelle zurighesi (Züricher Novellen) ed era l’unica inedita – al momento della prima stampa del volume nel 1877 – delle cinque che sono comprese in questa raccolta. Le prime tre erano già state pubblicate sulla rivista “Deutsche Rundschau” tra novembre 1876 e aprile 1877, la quarta risale addirittura a 17 anni prima. Mentre i Seldwyler agivano ancora in un paesaggio svizzero immaginario, gli zurighesi vengono ora inseriti in uno sfondo storico. Orsola è ambientato nei primi decenni del XVI secolo, quando Hansli (Giovannino in questa traduzione) Gyr torna a casa dopo aver partecipato vittoriosamente con l’esercito zurighese alla difesa del papato dalle pretese francesi. Vorrebbe sposare Orsola secondo i riti e le usanze cattoliche ma si scontra con le usanze anabattiste e il loro fanatico millenarismo che avevano coinvolto la famiglia di Orsola stessa. La vicenda si interseca poi con la predicazione di Zwingli, del quale Hansli Gyr diviene seguace, ma non al punto da dimenticare Orsola. Quando Zwingli sconfigge gli anabattisti e li imprigiona, Gyr non esiterà a liberare Orsola, che nella sua follia millenarista crede che il suo liberatore sia l’arcangelo Gabriele. Ma sarà poi Orsola, ripresasi dalla confusione mentale, a trarre in salvo Hansli Gyr moribondo in seguito a una nuova vicenda bellica.
Keller ebbe grande celebrità in Svizzera e ancora oggi è considerato il più importante letterato svizzero di lingua tedesca. Apprezzato da Nietzsche, fu oggetto di attenzione anche da parte di Walter Benjamin che gli dedicò un articolo sulla rivista “Literarische Welt” nel quale definisce Keller «quel maestro alla cui scuola tutti devono passare per lasciarsi avvolgere da una fiamma che custodisce un segreto: quello della vita» e ne esamina i meccanismi creativi dietro i quali si celano le sue qualità più notevoli. Ma il riconoscimento che si può dire consacri Keller all’interno dell’universalismo letterario venne nel 1936 da Georg Lukàcs che in un suo saggio parla entusiasticamente dell’autore svizzero: «Keller è grande perché nelle condizioni del suo tempo, sfavorevoli dal punto di vista politico sociale e artistico, ha creato nonostante tutto un’arte così alta, un’arte non ristrettamente provinciale»; «uno dei massimi scrittori epici del XIX secolo»; «è venuto il momento di considerare da questo punto di vista la carriera di Keller e di assegnargli il giusto posto tra le reali grandezze della letteratura mondiale»
In Italia Keller è stato tradotto fin dai primi anni del XX secolo in varie edizioni. Sette Leggende fu tradotto la prima volta dal savonese di adozione Italo Scovazzi, mentre già precedentemente era stato tradotto Enrico il Verde. Di quest’ultimo abbiamo fin dal 1944 l’ottima traduzione di Lionello Vincenti, mentre tutte le novelle sono tradotte, e oggi radunate in due volumi editi da Adelphi, da Lavinia Mazzucchetti insieme alle traduzioni di Ervino Pocar, Anita Rho e Gianni Ruschena.
Il lavoro di curatore e traduttore di Eugenio Giovannetti, che qui presentiamo e che è stato edito nel 1944, ci offre un saggio importante della maestria narrativa di Keller e certamente invoglia chi già non ha letto le altre sue opere a conoscere maggiormente questo grande narratore.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del primo racconto Lettere d’amore perdute:
Vittorio, Störteler (per i Seldwylesi semplicemente Viggi Störteler) viveva comodo e quieto, poiché aveva un prospero commercio di grossista e possedeva una perla di mogliettina, sana e tenera, che, oltre la propria gradevolissima persona, gli aveva portato anche un discreto patrimonio ereditato da fuori: e se ne stava col marito in operosa pace. Il capitale della buona Gritli gli faceva assai comodo per allargare gli affari ch’egli aveva a cuore di far fiorire. Aggiungete una proprietà, di natura assolutamente insolita in paese, ma che a lui intanto garbava assai. Aveva passato gli anni dello studio e qualche altro ancora in una grande città e s’era messo in un’associazione di giovani impiegati che si proponevano una coltura scientifica ed estetica, e, abbandonati a se stessi, ne combinavano di tutte. Leggevano i libri più strampalati, tra discussioni senza capo né coda: rappresentavano sul loro teatrino il Faust, il Wallenstein, l’Amleto, il Lear, il Nathan: promuovevano concerti difficili e s’infatuavano per articoli da far drizzare i capelli. Non c’era, insomma, coglioneria cui non fossero pronti
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