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Caterina Marasca è l’unico romanzo di Giovanna Gulli, definita da Repaci, autore della prefazione alla prima edizione, la migliore scrittrice calabrese. Viene pubblicato postumo, non senza difficoltà e con tagli imposti dalla censura fascista, nel 1940 e l’autrice riesce solo a correggerne le bozze prima di morire, giovanissima, di miseria e di tubercolosi.
Il romanzo è ispirato, per esplicita dichiarazione dell’autrice, da una storia vera:
«Noi dobbiamo citare testualmente i fatti perché questa storia dolorosa è, ci dispiace confermarlo, una storia vera; naturalmente andiamo fino in fondo all’anima e al cuore di Caterina Marasca, senza alcuna pietà, come si è potuto osservare in quello che abbiamo precedentemente e progressivamente narrato.»
Repaci, però, lo definisce una storia «vera due volte», perché Caterina, la protagonista, a suo parere non è altro che una «proiezione fantastica di Giovanna». Molte sono infatti, al di là delle differenti scelte esistenziali, le analogie fra l’autrice e Caterina: nell’aspetto fisico, i cui caratteri salienti sono i capelli ricci e indomabili (e i biondi di Caterina, qualche volta, per effetto della luce, appaiono «rosseggianti» come quelli di Giovanna), la magrezza, la flessuosità; nell’essere le prime di sei figli; nella condizione socio-economica, il passaggio dal benessere alla povertà a causa di padri deboli, irresponsabili, immotivatamente gelosi delle mogli; nella necessità di affrontare tutte le difficoltà che la società di quel tempo poneva dinanzi ad una donna costretta a cercarsi un lavoro per sopravvivere.
Nella prima metà del romanzo predomina la coralità e al centro della narrazione c’è tutta la famiglia di Caterina, formata dalla madre, da tre giovani donne e tre bambini. La loro unica fonte di reddito, da quando il capofamiglia si è suicidato, è il lavoro di Rachele, diciannovenne sorella di Caterina, che non basta a sfamare la famiglia. Il termine più ricorrente è infatti «fame»: una fame che induce nella madre, sostenuta da una cieca fiducia in Dio che vacillerà solo alla morte del figlio più piccolo, una passiva rassegnazione, resa tangibile dalla rapida e precoce senescenza; nei bambini, paura di morirne; in Caterina, per reazione, un’orgogliosa ribellione ed un’alta considerazione di sè, che la fa sentire superiore sia al popolino che ai borghesi ed ai nobili, come dimostra con la frequente auto-presentazione sprezzante, «Io sono Caterina Marasca».
L’ambiente è quello dei bassi napoletani, descritto con crudo realismo degno dei romanzieri naturalisti, ma non con la stessa oggettività: tutto è filtrato dallo sguardo delle ragazze, che coglie con disgusto dettagli rivelatori di povertà, trascuratezza, sporcizia, in stanze anguste e impregnate dall’odore di cibo scadente: «Poche sedie, fra cui qualcuna col fondo spagliato, sostituito da un lurido cuscino di percalle…..»; «Un fumo denso e caldo di orzo tostato riempiva le tre camere. Era soffocante.». Queste descrizioni sono spesso seguite dal commento conclusivo delle ragazze più grandi, Rachele e Caterina, «Che schifo!». L’intelligenza spinge Caterina a rifiutare le facili consolazioni religiose della madre («Possibile? Mammà si rassegnava a tutto? Non aveva sentimento? Non aveva volontà? Anima? Sensi?») ed il suo rapporto con i familiari oscilla repentinamente fra pena ed intenso affetto e rabbia e impulsi violenti:
«Caterina si mutò in viso: divenne pallida e i suoi occhi presero un’espressione cattiva e risoluta. Poi rapidamente si chinò e prese Paolo fra le braccia. – Suvvia i Turchi sono cattivi, sì, sì, non piangere… – e lo strinse con un gesto impetuoso. Gli prese le manine e se le portò alle labbra, poi si curvò, baciò sulla fronte Paolo e i suoi occhi scuri brillarono di dolcezza.»
I suoi tentativi di trovare un’occupazione, descritti come frustranti umiliazioni dinanzi a uomini che la vedono solo come oggetto di desiderio, fanno maturare in lei una visione negativa della società, un mondo in cui il lavoro, soprattutto per una donna, è strumento di ricatto e sfruttamento e l’unico valore è il denaro; chi non ne possiede non ha altre alternative oltre a morire o perdersi. Quando, ingiustamente licenziata da un lavoro di istitutrice accettato per sfuggire alla fame, ripiomba con la sua famiglia nella miseria, incomincia a rubare, perché «Secondo il ragionamento di Caterina quel suo gesto di rapina era un atto legittimo, ed essa si domandava, ormai, perché tutti gli altri non facessero altrettanto».
Nella seconda parte del romanzo assistiamo ad un radicale cambiamento nella vita di Caterina, che diventa, assieme ai suoi amanti, la protagonista di vicende ambientate nel mondo prima borghese, poi nobiliare; atmosfere, personaggi, situazioni richiamano il gusto dell’estetismo dannunziano e le percezioni della protagonista colgono ora la preziosità dei tessuti, la raffinatezza degli arredi, l’intensità dei profumi…. La famiglia Marasca, aiutata ma tenuta a distanza, scivola sullo sfondo.
In questo romanzo, come scrive Repaci nella prefazione, il desiderio di raccontare le condizioni di miseria e di sfruttamento del popolo (da lui definito «furore documentario») prevale sull’attenzione alla forma (il critico parla di punteggiatura «disinvolta», da lui lasciata volutamente inalterata, e di «linguaggio troppo spesso disarticolato, trascurato, incerto»). I modelli sono da un lato Dostoevskij, naturalismo e verismo per l’attenzione agli “umili” ed il crudo realismo, dall’altro i romanzi d’appendice, come rivelano le descrizioni melodrammatizzate di gesti, comportamenti, espressioni della protagonista.
«Caterina rise, con la bocca rossa, rovesciando indietro la testa, con quell’espressione accentuata di crudeltà, ma che questa volta nel riso un po’ largo e umido prendeva una certa grazia torbida e sensuale.»
Una dote che Repaci apprezza particolarmente in Gulli è la «straordinaria intuizione psicologica». La psicologia di Isabella e Caterina, nelle sue mutevoli sfaccettature, emerge sia dalla narrazione in terza persona che dalle pagine del diario in cui esse confidano stati d’animo e sentimenti che non possono condividere con nessuno. A parere di Maria Luisa Testa, le pagine scritte da Isabella, soprattutto quelle riguardanti il difficile rapporto con il padre, non sarebbero altro che una trascrizione di quelle del diario della stessa Gulli, che la madre distrusse dopo la sua morte. Riguardo alla sua protagonista, la narratice scrive che andrà «fino in fondo all’anima e al cuore di Caterina Marasca senza alcuna pietà», senza condiscendenza nei confronti del suo personaggio ma anche senza quella moralistica condanna che le verrà invece dai lettori. Più stereotipate appaiono invece le figure maschili, accumunate da una totale negatività: immagini di padri assenti, deboli e rinunciatari, di sostituti repellenti come lo zio Nicola, di giovani maschi che squadrano le ragazze come merce, dominati dal desiderio sessuale e da una visione della donna come mero oggetto del loro desiderio: «fissò con un fremito sensuale i seni eretti e procaci di lei e la curva ferma delle anche.»
Una storia vera e dolorosa, che alla fine vede Caterina trasformarsi in una «giovine regina crudele e affascinante” e che, secondo Repaci, riveste per la sua autrice una funzione catartica:
«Mentre soffriva la fame Giovanna trovava un conforto nel tradurre in Caterina il suo stesso orrore del mondo, i suoi spasimi segreti, le sue ribellioni. La vita e l’arte procedevano di pari passo, obbedivano a uno stesso ritmo, si bruciavano alla stessa fiamma. Il romanzo è un’ossessionata confessione, un inquietante documento umano.»
Sinossi a cura di Mariella Laurenti
Dall’incipit del libro:
Siccome fuori faceva molto freddo Caterina Marasca entrando nel portoncino provò una piacevole sensazione d’intimità. Nella penombra gli scalini si distinguevano appena; solo esigui rettangoli di luce biancastra, proiettata dall’abbaino, rivelavano la perfetta pulizia del marmo.
Caterina si corrucciò commentando mentalmente la spilorceria dell’inquilina di sotto che non s’era decisa ancora ad accendere la lampadina di poche candele. A metà scala dovette fermarsi perché le gambe non resistettero quasi fossero anchilosate, e il cuore le si mise a battere fortemente. S’abbassò un poco sulla ringhiera per pigliar fiato e le si oscurò lievemente la vista.
Fece con lentezza gli ultimi gradini e bussò eccitatissima.
Nicola venne ad aprirle e la fissò ridendo: – Senti Caterina, Elisabetta dice…
Ella corrugò le ciglia ed interruppe brutalmente:
– Vattene, Nicola.
Nicola si allontanò e si diresse precipitosamente verso la cucina: – Elisabetta, Caterina è tornata… è assai arrabbiata…
Caterina s’inoltrò nella seconda stanza e poi nella terza; le stanze comunicavano tutte tra loro con perfetta simmetria per mezzo di porte piccole e grossolanamente quadrate. Prima di levarsi il cappello si fermò dinnanzi allo specchio: sentiva una sorda irritazione contro tutti e principalmente contro Nicola che l’aveva accolta con quel riso stupido e beato.
Scarica gratis: Caterina Marasca di Giovanna Gulli.