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Dall’incipit del libro:
L’attenzione di Galileo, per il quale un primo drizzare del telescopio al cielo fu fecondo di tante e così meravigliose scoperte, dovette certamente essere subito rivolta anche all’astro maggiore; e chi sia un poco addentro nella maniera d’indagine scientifica tutta propria del divino Filosofo, si persuaderà di leggieri e, quasi diremmo, a priori, che le macchie del Sole non potevano, fin da principio, sfuggire all’occhio acutissimo di lui. Afferma invero il più antico fra i suoi biografi, ch’egli «dimorando pure nell’istessa città di Padova, e proseguendo col suo telescopio l’osservazioni del cielo, vedde nella faccia del Sole alcune delle macchie; ma per ancora non volle publicare quest’altra novità, che poteva tanto più concitargli l’odio di molti ostinati Peripatetici (conferendola solo ad alcuno de’ suoi amici di Padova e di Venezia), per prima assicurarsene con replicate osservazioni, e per poter intanto formar concetto della loro essenza e con qualche probabilità almeno pronunciarne la sua opinione». Il Viviani ci conservò anche i nomi degli amici ai quali Galileo fece tale comunicazione; ed è fra essi il P. Fulgenzio Micanzio, il quale molti anni più tardi spontaneamente lo attestava a Galileo, scrivendo averne memoria «fresca come se fosse ieri». Che se in qualche minuto particolare vi ha motivo a dubitare che i termini nei quali si esprime il Micanzio non corrispondano all’esatta verità, questo dubbio non può in alcun modo infirmare la essenza del fatto, cioè dell’essere stato il Nostro «il primo scopritore ed osservatore delle macchie solari, sì come di tutte l’altre novità celesti… e queste scoperse egli l’anno 1610, trovandosi ancora alla lettura delle Matematiche nello Studio di Padova, e quivi ed in Venezia ne parlò con diversi».
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