Concepito forse cinque anni prima, ma pubblicato otto anni dopo la celeberrima opera Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, le Riflessioni politiche intorno all’efficacia e necessità delle pene del pensatore e penalista siciliano Tommaso Natale intendono a loro volta rispondere a una serie di problemi che nella seconda metà del XVIII secolo erano divenuti epocali nei dibattiti fra i riformatori dell’età dei lumi. Al sempre più ricorrente interrogativo per cui i delitti continuino a non diminuire, nonostante l’indubbia severità della legislazione e le frequenti esecuzioni capitali, il Natale risponde che l’efficacia delle pene non dipende dalla loro severità né dal frequente ricorrervi, ma dall’equilibrio nell’infliggerle. Su questo principio fondante, dapprima egli si sofferma sullo scopo della pena e poi sulle modalità della punizione, insistendo particolarmente sul presupposto che, nel redigere le leggi penali, il legislatore debba considerare non soltanto l’indole delle persone, ma anche il loro ceto sociale in relazione alla natura del delitto al quale l’espiazione deve essere necessariamente proporzionata.

Pur tra le divergenze di fondo con la più fortunata opera del suo omologo lombardo (evidenti specialmente nella liceità della pena capitale, della tortura e del taglione, entro certi limiti ancora tollerata dall’autore), i larghi consensi ricevuti dal trattato hanno valso all’autore la fama di “Beccaria siciliano”, e lo hanno inserito fra gli illuministi più rappresentativi dell’Italia meridionale.

Sinossi a cura di Giovanni Mennella

Dall’incipit del libro:

Voi mi domandate, quale sia la cagione, che non ostante la troppa severità delle pene, che le leggi minacciano, e la frequente ed esatta esecuzione di esse, si commettano pur non di meno con tanta frequenza delitti così enormi, e così inumani? Io ho voluto seriamente riflettere su d’un tal proposito; ed ecco i pensieri, che si sono risvegliati nella mia mente, e che ora giudico comunicarvi.
Io penso dunque, che non è nè la troppa severità delle pene, nè il frequente uso di esse, che le renda efficaci; bensì il saperle adattare, e dispensare quantunque meno severe fussero, e meno spesse. Anzi sostengo, che il supplizio della Morte non è forse il mezzo più adattato, per prevenire, ed estirpare i delitti, ed imprimere negli animi de’ sudditi quella necessaria idea di timore, e di spavento, perchè si astenessero di commetterli; come che si giudichi, e sia effettivamente il maggior male, che possa minacciarsegli. Vi parranno forse strane le mie proposizioni; ma nel discorrere le cose politiche è necessario, che ci allontaniamo dall’astratto, e dall’ideale, e ci contentiamo meglio d’esaminare le cose pegli effetti, e pell’esperienze.

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