Dostoevskij
Dostoevskij

 

Al principe Miškin de “L’idiota” di Dostoevskij viene attribuita la frase che la bellezza salverà il mondo. Ma il giovane Ippolit, tisico e condannato ormai a morte, dice che il principe ha fatto una simile affermazione solo perché è innamorato e poi gli chiede se è cristiano, se è un fervente cristiano. Ma il principe non risponde, lasciando tutto in sospeso. L’enigma non verrà mai svelato. L’unica bellezza che salva è allora il Cristo, figlio di Dio che si è fatto uomo, che ha redento l’umanità ed è resuscitato? In termini più prosaici e indagatori Ippolit chiede: “Quale bellezza salverà il mondo?”. Inoltre viene da chiedersi se la sola bellezza basti a salvare il mondo. Quale bellezza? La bellezza della natura? La bontà d’animo? Laprofondità d’animo? La sensibilità artistica? L’armonia?  La bellezza interiore oggi è stata svalutata,  sminuita,  travisata,  deformata a proprio piacimento,  tirata per la giacchetta. Il messaggio di Cristo è stato perduto almeno culturalmente, letterariamente, filosoficamente in nome di una retorica melensa dei buoni sentimenti,  anzi di un sentimentalismo sempre più deteriore e di una spiritualità, ormai diventata posa vanesia e non più spesso ricerca interiore genuina. Ma quali sono i buoni sentimenti? Di che pasta è fatto il sentimentalismo, fatto di sdilinquimenti e istigatore della lacrima facile? L’ordine del discorso, almeno qui in Italia a livello artistico,  viene deciso da un progressismo,  in parte erede di un veterocomunismo, caratterizzato esclusivamente dal determinismo economico e dal materialismo ateo. Il miglior progressismo nasce non dal settarismo, dal dogmatismo, dallo snobismo, dal materialismo,  dall’ateismo ma da una formazione umanistica, dal senso di colpa per chi sta peggio, dalla solidarietà: tutte cose che gradualmente si sono perse da sempre più persone. Come facciamo comunque a etichettare una persona come bella dentro quando sappiamo davvero poco di noi stessi, degli altri, delle reali intenzioni di tutti noi? Come facciamo a etichettare una persona bella o brutta interiormente se “il cuore è ingannevole più di ogni cosa”? Possiamo solo presumere e tutti, più o meno, presumiamo, finendo spesso nella correlazione illusoria che chi è bello fuori necessariamente è bello anche dentro.  Oramai non è la bellezza interiore a rispecchiarsi in quella esteriore ma viceversa e d’altronde chi è bello fuori, ha vita più semplice, più facile, è più amato e apprezzato in questa civiltà dell’immagine, per cui per costui o costei è più semplice comportarsi bene, essere buoni interiormente. Ma c’è anche chi fa cattivo uso del proprio aspetto fisico piacente, rovinando sé stesso e chi ha intorno. La cosa da aborrire è questa retorica dei buoni sentimenti,  questo falso pseudo-francescanesimo di bassa lega, professato ma mai vissuto pienamente,  questa imposizione senza uscita del buonismo. La domanda è, ritornando a Dostoevskij,  può esistere una bellezza salvatrice dell’umanità senza Dio e senza amore? E chi dice di credere in Dio e nell’amore è davvero bello dentro se si comporta in modo uguale o peggiore a chi non crede? Finiamo in un ginepraio dove si intrecciano indissolubilmente fede, valori, coerenza, comportamento. E anche chi fa del bene, lo fa davvero disinteressatamente o per sentirsi meglio interiormente, per salvarsi l’anima o semplicemente per apparire agli occhi dell’altro buono? Esiste veramente il bene disinteressato senza secondi fini? E chi fa del male non ha avuto forse difficoltà,  ostacoli, esempi negativi,  traumi? Il depresso ad esempio è anche deprimente per gli altri, perciò è brutto dentro, ma la psicologia ci insegna che la depressione è un disturbo dell’umore, dovuto alla natura o alle circostanze esterne e che certe depressioni sono così gravi da essere difficilmente curabili. Chi fa del male a sé stesso è brutto dentro, ma, visto e considerato che l’odio è un fenomeno di proiezione,  è meglio fare del male a sé stessi o agli altri? Ed è meglio l’omicidio di sé stessi o di un altro? Appena si tratta della bellezza interiore si apre il vaso di Pandora.  Nel Vangelo di Matteo c’è scritto: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.  Ma chi sono i puri di cuore? E puri di cuore si nasce per indole o si diventa per fede? Anche nella Chiesa la purezza di cuore, la povertà,  la fede in Dio di San Francesco talvolta sono stati dimenticati in nome del conventualismo formale. Inoltre secondo il cattolicesimo la purezza di cuore è data dalla semplicità,  che in termini pratici voleva dire anche ignoranza dei fedeli, che non avrebbero creato noie, si sarebbero fatti indottrinare senza problemi e si sarebbero lasciati abbindolare facilmente dal latinorum ecclesiastico. Ancora una volta solo Dio sa leggere nel cuore umano perché nessun uomo sa leggere veramente dentro sé stesso. Figuriamoci leggere negli animi altrui! Eppure ci amiamo, ci odiamo, dimostriamo indifferenza senza capire niente, senza capirci; crediamo che le nostre supposizioni, talvolta infondate, siano certezze. Bisognerebbe credere nell’amore e in Dio, ma anche comportarsi come se l’amore e se Dio esistessero: impresa davvero molto ardua che riesce a pochissimi! E allora l’importante è salvare le forme o quantomeno la facciata: basta una tragedia nazionale, un dramma collettivo per spingere alla scrivania gli instant poets con i loro versi d’occasione, stucchevoli, melensi,  sdolcinati. No, non c’è più posto ormai per i brutti dentro. Bisogna fingere di essere belli dentro e fuori. Bisogna essere fighetti compassionevoli,  sentimentali, che indossano una maschera. Solo che la maschera si attacca irrimediabilmente alla pelle. Il decoro, la rispettabilità,  il perbenismo del maestro di Vigevano, ovvero quello che Mastronardi chiama il catrame, vanno via solo insieme alla pelle. La maschera, l’apparenza, il mostrarsi buoni, magari senza esserlo, diventano l’essenza. Un tempo contavano di più i contenuti. Oggi conta l’involucro.  Non c’è più posto ormai per i brutti fuori né dentro, gli uomini del sottosuolo, coloro che facevano emergere le brutture dell’animo e del mondo, le magagne, gli orrori, il materiale spurio. Bisogna fingersi belli dentro. Non c’è più spazio per i sileni. Oggi vincono i Dorian Gray, che fingono scaltramente purezza di cuore e falsa bontà d’animo. L’importante è che gli altri ci reputino buoni. La polvere va sempre nascosta sotto il tappeto. L’importante è dichiararsi e sembrare buoni, non esserlo. D’altra parte il contrario di buonismo è il cosiddetto cattivismo: scadere nel populismo demagogico, far leva sulle peggiori reazioni emotive della gente, tirare fuori il peggio da sé stessi e dagli altri, denigrare, diffamare, umiliare, calpestare il prossimo. E allora teniamoci questo buonismo, basato tutto sull’apparenza, ma ricordiamoci anche che Dostoevskij,  Nietzsche,  Amelia Rosselli,  Pasolini non erano belli dentro, se accettiamo la concezione odierna  della bellezza interiore, istituita dal politicamente corretto. La bellezza interiore oggi deve rimanere in superficie. Deve essere posticcia. W la finzione! La profondità è una tara, è pazzia. Ma va bene così.