Grazie alla voce di Mela Boev, https://www.melaboev.com/, pubblichiamo il libro parlato La volpe di David Herbert Lawrence.

Uno dei più noti racconti lunghi tipicamente “lawrenciani” dove la trama porta alla riflessione che occupa le ultime pagine sull’impossibilità di trovare la felicità.

Due donne non più giovanissime, Jill Bandford e Nellie March, vivono da sole in una fattoria della campagna inglese impoverita dalla guerra cercando di gestire una modesta attività incentrata su un pollaio sovente visitato da una splendida ed enigmatica volpe rossa. Ma una sera la “volpe” si presenta sotto sembianze maschili, il soldato Henry Grenfel che torna alla casa del nonno defunto. L’andamento della fattoria si trasforma in un “triangolo” nel quale Henry vuole sposare March ma, sembra, quasi più per spezzare il legame che la unisce alla esile e debole Bandford, la quale si pone come ostacolo al progetto e tra i due si instaura un’avversione reciproca che risulta insormontabile.

March diventa l’oggetto del contendere dei due e ne appare frastornata e sbigottita e oscilla a più riprese tra l’accettare e il rifiutare la proposta di Henry. Tornato alla base militare in quanto non ancora congedato, riceve una lettera di “rottura” da March e ottiene di poter brevemente tornare alla fattoria. Qua le due donne stanno cercando di abbattere un vecchio albero ed Henry termina l’opera. L’albero cadendo uccide Bandford e nessun ostacolo resta perché Henry e March si sposino. Qua inizia l’amaro ripensamento dell’autore che può essere condensato in queste poche righe: “Questa è tutta la storia della ricerca della felicità, sia che vogliate raggiungerla per voi stessi o per un altro. Termina sempre in quel pauroso senso del nulla senza fondo nel quale cadrete inevitabilmente, se vi sporgete un poco di più.” Bella ed efficace traduzione di Carlo Linati, tanto buona che può essere ripresa ancora oggi da più editori senza alcuna necessità di revisione.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Il vicinato le conosceva per i loro nomi di nascita: Bandford e March.
Esse avevano preso in affitto una fattoria e si proponevano di sfruttarla da sole. Avrebbero allevato dei polli e sarebbero vissute con questo reddito; e ai polli, più tardi avrebbero aggiunto una mucca e uno o due vitelli. Ma sfortunatamente le cose non andarono bene.
Bandford era un cosino esile, delicato, con gli occhiali. Ma era lei la capitalista principale dell’impresa, poichè March aveva poco o punto danaro. Il padre di Bandford, che era negoziante a Islington, aveva fornito all’impresa i primi soldi per via della salute della figlia alla quale voleva molto bene e perchè tanto non pareva ragazza da doversi sposar mai. March invece era più robusta ed aveva appreso l’arte del carpentiere e del falegname alle scuole serali di Islington. Essa avrebbe fatto da uomo nella fattoria.
Al principio ebbero con loro il nonno di Bandford, ch’era stato contadino, ma disgraziatamente il vecchio morì dopo un anno che si trovava a Baley Farm e le ragazze rimasero sole. Non eran più giovani nè l’una nè l’altra, poichè ambedue rasentavano la trentina, ma si misero all’opera con molto coraggio. Possedevano una quantità di galline, delle livornesi bianche e nere, delle Plymouth, delle Wiandotte, qualche anitra e due manzette sul prato. Una di queste, per disgrazia, rifiutò ostinatamene di tenersi entro i recinti di Baley Farm e March ebbe un bel rafforzare la staccionata, la bestia usciva, raggiungeva liberamente il bosco o sconfinava nel pascolo vicino: e March e Bandford a correrle dietro, ma sempre con più fretta che successo. Infine disperate, vendettero la manzetta e quando l’altra stava per mettere al mondo il suo primo nato, il vecchio morì, e le ragazze temendo il prossimo evento vendettero anche quella in un momento di panico, e limitarono le loro cure alle galline e alle anitre.

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