Il romanzo breve L’occhio del lago (1899) è uno dei rari romanzi scritti da Tullio Giordana, il cui impegno letterario fu prevalentemente in campo giornalistico.
Nel libro l’autore racconta la vicenda di Paolo, un giovane arrivato alla scrittura dopo tante letture e tanti dolori. Giordana si serve di una prosa ricca, barocca, carica di tutti gli stilemi tipici dannunziani, tanto in voga a quell’epoca, nel descrivere la natura, le persone, i sentimenti: i fiori appassiti, il lago oscuro, la morte, i popolani umili, la chiesetta appartata, il risveglio della natura, l’amore infelice, la passione religiosa… anche con l’ampio uso di elaborate metafore e di termini inconsueti:
“Paolo avvicinò la barca alla riva e potè vedere, sulla strada che lineava il lago, una processione scender serpendo tra il verde.”
Paolo si innamora e nasce un singolare rapporto tra gli amanti: lui, il protagonista, scrittore ormai di successo, e lei, donna colta, sposata, che vorrebbe influenzare la scrittura di lui, diventandone la musa ispiratrice. Ma questo suscita invece la gelosia dell’amante che rivendica la sua indipendenza intellettuale.
Peraltro:
“Paolo credeva che l’unico scopo della vita fosse l’amore. L’unica cosa degna di desiderio, degna di fatica. Avere una compagna. Sceglierla bella, buona, fedele, unirla a noi, fondere i nostri caratteri, non avere se non brame comuni, se non gaudii comuni. Sentirsi più forte di un’altra intelligenza, più buono di un altro cuore, più bello di un altro dolce viso. Avvicinarsi così alla perfezione.”
Gli sviluppi sempre più cupi della vicenda portano a scoprire, in modo agghiacciante, la “banalità del male”: quanto possa essere facile, per menti rivolte solo ed esclusivamente a sé stesse (“Sentirsi più forte di un’altra intelligenza … avvicinarsi così alla perfezione.”), pensare al femminicidio come unica soluzione del tradimento.
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi aps
Dall’incipit del libro:
Alba, seduta sopra una cassa, raccoglieva nel grembo un mazzo di lilla appassiti che si abbandonavano come livide mani morenti. Fissava il fratello che, sulla porta, ritto, seguiva nel crepuscolo nebbioso due rondini nuove trillanti intorno ai peri fioriti. Egli restava lì, senza muoversi, triste, pensoso della città per sempre abbandonata, pensoso della fragile creaturina ammalata che lo aveva seguìto, e forse ancora di quell’altra donna lontana ed immemore. Forse ancora egli, invece del lago che si velava, invece delle rondini, vedeva quei suoi due occhi vivi, profondi, simili al cuore delle viole. Come nel cuore delle viole, dal mezzo di essi si partivano fasci di raggi gialli che nella luce si indoravano, vibravano, e, come le viole, gli occhi avevano una dolcezza grave, misteriosa, parevano occultare un’anima non umana.
Forse Paolo li vedeva. Li avrebbe potuti dimenticare in quella solitudine di primavera, dove la natura respirava armoniosa come una fanciulla?
Alba lo chiamò:
— Se dobbiamo andare a Brovi, partiamo subito. S’imbruna.
— Io vado solo, Alba. È troppo tardi per te.
La fanciulla tremò:
— Resto qui, io? Io ho paura, Paolo – e girò i grandi occhi intorno per la camera rustica, dove, lungo le pareti, quadri religiosi sfilavano la lor cattiva fattura.
Una contadina entrava in quel punto. Attraversò dondolando, sporgendo il ventre grave e un naso sottile puntuto sul mento magrissimo.
Scarica gratis: L’occhio del lago di Tullio Giordana.