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(voce di SopraPensiero)
La voce del violino dona distensione, racconta la dolcezza delle note e la loro intensità quando toccano l’animo; è come lo spirito di una bella donna morta che dall’aldilà parla a chi sa ascoltarla. È quanto accade a Montalbano nella sua ormai storica quarta avventura che compie vent’anni, «La voce del violino» (Palermo, Sellerio, 1997), quando il protagonista ha la sua solita illuminazione e comprende dove volevano condurlo gli indizi di un caso complesso e articolato.
Un romanzo da riscoprire per ritrovare le origini della saga del commissario siciliano, fin dai primi capitoli contraddistinto dal suo carattere scorbutico e vittima di una personalità gravata dalle indecisioni. Un’opera resa interessante anche per un aspetto assolutamente inusuale sia per Montalbano, sia per il suo autore: il tentativo di avvicinarsi alla musica, malgrado ad ambedue manchino le conoscenze fondamentali. È lo stesso Camilleri ad avvertire il lettore in una nota alla fine del libro di non avere confidenza con gli strumenti musicali, limite che al tempo lo costrinse a chiedere l’aiuto di un esperto per evitare errori tecnici imperdonabili. Eppure il maestro ha saputo raccontare nella vicenda risolutiva della sua storia la varietà delle emozioni provate da chi suona e da chi ascolta, con una profondità tale da arrivare a paragonare il violino a una voce narrante; la voce di Michela Licalzi, la vittima di un terribile omicidio che parla a Montalbano dal regno dei morti.
Il romanzo inizia con un incidente. Il commissario e il suo aiutante Gallo, diretti al funerale della consorte di un uomo assai importante a cui il protagonista non può permettersi di mancare, tamponano una Twingo parcheggiata davanti a una villa. Del proprietario della vettura nemmeno l’ombra; l’entrata è chiusa e per Montalbano, che dopo un po’ di tempo perde persino il sonno perché angustiato dalla singolarità del fatto, non resta che entrare nella villa avvalendosi di un kit da scassinatore. Nella camera da letto scopre il cadavere di Michela Licalzi, proprietaria dell’immobile stuprata e poi soffocata dal suo assassino che le avrebbe trattenuto il viso sul materasso, almeno a quanto appare da un primo sopralluogo.
Il protagonista ha voluto scoprire il mistero intorno alla villa abbandonata, ma adesso che ha davanti agli occhi il cadavere non sa come comportarsi. Non può chiamare il commissariato, pena dover ammettere di essere entrato come un ladro; ma non può nemmeno far finta che non sia accaduto niente. Sul momento è costretto ad abbandonare il luogo del delitto, alla ricerca di un escamotage che lo tolga dal grave impiccio in cui si è cacciato. Trova la soluzione quando chiede aiuto alla sua cara amica, la signora Vasile Cozzo, che dietro direttive ben precise dello stesso Montalbano telefona al commissariato e denuncia l’omicidio restando nell’anonimato. Non è proprio un comportamento ortodosso, ma il rispetto delle procedure standard di solito non va molto a genio al protagonista. Quest’ultimo, lungo la strada per raggiungere la villa, si lascia scappare un’affermazione che consente ai suoi collaboratori di capire il bluff.
Prende il via un lungo sopralluogo che richiama l’interesse della scientifica e delle più alte personalità della giustizia. Alcuni sono avversi al carattere scontroso e alle tecniche investigative di Montalbano, che finirà per farsi sottrarre il caso proprio nel momento di massimo coinvolgimento della sua squadra. Tra i vari indizi che emergono dalle ricerche, compresa la particolare posizione in cui viene trovato il cadavere nudo posto di lato, il protagonista è l’unico a notare una custodia di violino senza lo strumento.
Nelle indagini sono coinvolte le persone più vicine alla vittima e anche se il commissario non rivela i suoi sospetti verso di loro, non si lascia sfuggire che tutti hanno un movente valido. Il signor Licalsi marito di Michela, assai più vecchio di lei e costretto per la sua impotenza a sopportare l’infedeltà della consorte; Maurizio Di Blasi, studente universitario figlio di un secondo cugino di Licalsi, innamorato a tal punto della vittima da spiarla continuamente; Guido Serravalle, un antiquario bolognese che la bella donna aveva scelto come amante, anche lui in una posizione poco chiara poiché Michela è stata vista in compagnia di un uomo la sera dell’omicidio. Solo l’amica Anna Tropeano appare insospettabile. Nella sua solitudine da single fa di tutto per conquistare il cuore di Montalbano.
Quando Maurizio, rifugiatosi nel capanno di un bosco in seguito alle indagini, viene ucciso per errore dagli uomini di Panzacchi, l’ispettore che ha sostituito il protagonista, quest’ultimo si impegna per riprendere il caso. È chiaro che durante le indagini qualcosa è sfuggito agli inquirenti, si sente la necessità di lavorare sugli indizi mancanti più che sulle certezze acquisite. Lascio al lettore il piacere di scoprire il finale accattivante.
Camilleri racconta un universo emotivo dove regna la solitudine, che spinge i personaggi a investire in modo sbagliato i loro sentimenti. Come Anna Tropeano, che non può essere ricambiata da Montalbano perché in caso contrario il commissario farebbe un torto a Livia, ma anche Maurizio, che spia continuamente la vittima senza dichiararsi, e la stessa Michela Licalsi, sempre pronta a lasciare la fredda Milano per cercare serenità e amicizia tra i siciliani. E infine è ancora la solitudine a far sì che Montalbano e Livia vogliano adottare Francois, un orfano affezionato alla famiglia della sorella di Mimì Augello. È questo l’unico episodio del romanzo che interrompe la vicenda principale, scavando nella vita privata del protagonista. Camilleri ci presenta la solitudine come una condizione frequente della natura umana senza proporre soluzioni, solo evidenziandone tra le righe la gravità.
Un’ultima nota la merita il linguaggio, colorito da continui termini del dialetto siciliano, che donano alla scrittura una vitalità capace di rendere la storia molto più godibile.