GIuseppe D’Emilio e Arturo Fabra presentano il volume di Eugenia Rosso Bagnasco Storie nei dintorni del labirinto, L’autore Libri, Firenze 2008; segue un’intervista all’autrice.

Sullo sfondo della copertina nera del libro si staglia quella che ad un’occhiata superficiale sembra una miniatura tardiomedioevale; la si guarda meglio, qualcosa non quadra; ci si accorge che si tratta, infatti, di un dipinto ottocentesco di Edward Burne-Jones che ritrae un guardingo Teseo il quale, col capo del gomitolo in una mano e una robusta spada nell’altra, si muove guardingo alla ricerca di un Minotauro che – noi soli lo vediamo – si affaccia da un angolo del labirinto, ad attenderlo guardingo ma irridente in mezzo ad un pavimento ricoperto di ossa umane. Ma voltiamo la copertina ed entriamo anche noi nel labirinto…

Storie nei dintorni del labirinto è un libro sui generis:è diviso in capitoli che sono sì racconti, ma nei quali il narratore abbandona spesso la storia per riflettere su di essa sulla base di una documentazione accurata che spesso attinge a fonti antiche: Livio, Plutarco, Erodoto, Strabone…

E le storie raccontate partono dallo specchio di Narciso per giungere al labirinto di Woodstock, attraverso l’antro della Sibilla cumana, il nodo gordiano, la tomba di Porsenna, la collina di Glastonbury, le anse del fiume Meandro e, ovviamente, il labirinto per eccellenza: quello cretese, quello ideato da Dedalo.

Una scrittura incantata, a volte commossa, altre ironica e divertita, ci accompagna attraverso i millenni, in una dichiarata commistione, mai ambigua, tra invenzione e storia.

Parliamone con Eugenia Rosso Bagnasco…

Il labirinto come percorso iniziatico o come viaggio di autoconoscenza?

Il labirinto può avere entrambe le funzioni, ognuna delle quali attribuibile in particolare a una o all’altra delle sue due forme base. La spirale rappresenta certamente, oltre ad altre cose, un percorso iniziatico, un cammino che dà il tempo di meditare, di compenetrarsi in una certa atmosfera, di sentire l’avvicinamento al centro che costituisce, o custodisce, la meta, in una tensione crescente man mano che le spire del percorso si fanno più brevi, quindi più stringenti. Il viaggio di autoconoscenza è meglio rappresentato dal labirinto ad intrico che, con i suoi inganni illusionistici, le biforcazioni, i percorsi ciechi dai quali ripiegare, le indicazioni svianti, assomiglia al cammino della vita, che ci offre una varietà di occasioni di conoscere noi stessi in ogni confronto con il mondo esterno, a volte anche dolorosamente, se abbiamo il coraggio di esser pronti a rinunciare a troppo ottimistiche autovalutazioni.
Non per niente al centro del labirinto si trova a volte uno specchio […]

Ha dovuto operare delle scelte sui labirinti di cui parlare? Se sì, quale ripescherebbe?

Ho dovuto lasciare indietro davvero diversi labirinti di cui avrei voluto parlare, per mancanza di tempo. Tra questi, quelli a cui tenevo di più erano i labirinti di Versailles e di Sceaux, e quello di Mme de Sévigné, perché mi avrebbero dato modo di parlare di storie divertenti e di personaggi a tutto tondo, di un’epoca e di ambienti molto coloriti che possiamo conoscere bene perché ritratti in una profusione di documenti pubblici e privati, diari, lettere, omelie, satire, tra i quali le memorie di Saint-Simon e l’epistolario della stessa Mme de Sévigné sono per me ai primi posti. Non ho abbandonato l’idea di occuparmene.

Dei labirinti di cui ha parlato, qual è quello in cui si perderebbe e quale teme di più?

Se per perdersi si intende letteralmente perdere il filo d’Arianna, la strada giusta per tornare a casa, sono sicura che mi perderei in ognuno di quelli di cui ho parlato e in qualunque altro. Se si intende, invece, in quale vorrei perdermi, dico che la mia età mi fa amare le piccole comodità della mia casa, e che preferisco non perdermi per niente! Da giovane, penso che, come giusto, mi sarebbe piaciuto molto perdermi nel labirinto del Tor per essere salvata da Alfred il Grande o Lancillotto.
Il labirinto che temo di più? Non so, il labirinto mi affascina, ma non vorrei trovarmici dentro in nessun caso.

Quanto legame c’è tra gioco e labirinto?

Ce n’è senza dubbio parecchio. Anche nella storia del Minotauro, come è reso chiaramente dal disegno di Burne-Jones sulla copertina del libro, c’è un po’ di gioco di nascondino, per lo meno dalla parte del più forte (la parte che a un certo punto si sente in svantaggio si diverte sempre un po’ meno, figuriamoci se sa di giocarsi la pelle…). Dedalo danza con le gru prima di mettersi a costruire il labirinto, e la danza può essere certo un rito per lui, ma anche gioco, dal quale prende ritmo la sua opera. Creare può avere i suoi momenti difficili, ma è senza dubbio divertente: è la fantasia che gioca con sé stessa.
Il gioco dell’Oca – chissà se con questo nome – viene inventato da Palamede sotto le mura di Troia per alleggerire la noia dell’assedio. Traccia una pista a più giri intorno alle mura formando una spirale, e ne divide il percorso in sezioni, le caselle sulle quali i giocatori avanzano, sostano o arretrano secondo il responso dei dadi, che Omero dice anch’essi inventati da Palamede. E’ il gioco della sorte che regola il percorso, variante delle gare di corsa che certamente i greci non avranno mancato di fare per sgranchirsi, e in cui erano l’agilità, l’abilità, la potenza muscolare dei concorrenti ad avere la meglio.
E’ probabilmente dal percorso a spirale che circonda la città assediata, che nasce l’identificazione delle mura di Troia come labirinto, ripreso dai giochi di Julo indetti da Enea per la fondazione di Alba Longa, e dalla tradizione medievale diffusa in vari Paesi.

A guardare l’anatomia del cervello, lo si potrebbe definire labirintico, non trova?

Il cervello non è il solo labirinto anatomico che ci portiamo addosso. C’è l’apparato digerente, e c’è quella parte interna dell’orecchio che si chiama proprio così: labirinto. Certamente il cervello, sede del pensiero, della creatività, della volontà e via discorrendo, ha qualcosa di molto diverso, entra in una sfera superiore ed è carico di un mistero che non ha proprio niente da invidiare a quello che ammanta i labirinti del mito.

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