Scritto nel 1884, questo libro si basa su fatti storici accaduti nel paese di Aggius, in Gallura, dal 1849 al 1856. L’autore nella prefazione afferma come tra gli scopi del suo libro, che per forza di cose descrive fatti sanguinosi, ci sia da una parte il far comprendere come da cause futili siano potuti discendere omicidi così efferati, dall’altro come decisioni politiche abbiano inasprito la situazione, quando ad esempio un governo concedeva la grazia a un pluriomicida in cambio di catture o omicidi a tradimento di altri fuorilegge. E per far comprendere ai non isolani la mentalità dell’onore gallurese, e come questo possa sovrastare ogni sentimento, anche l’amore, tutto il libro descrive una storia vera, sia pure con i toni del romanzo.
La vicenda vede come protagonista Bastiano Tansu, uno dei molti figli di un pastore di Aggius. Nato sordomuto, si esprimeva malamente a gesti e urli e non era compreso da nessuno. Divenne aggressivo perché rifiutato, e persino il parroco predisse che sarebbe finito male, in quanto “figlio del demonio”, ma tutto ciò non fece che renderlo ancora più forte e temerario. La sua forza e la sua audacia furono utilizzate sicuramente nel corso degli anni (1850-1856) in cui ad Aggius si svolgeva la strage dei Vasa e dei Mamia, che per futili motivi, collegati al mancato matrimonio di Pietro Vasa e Mariangiola Mamia, portò a oltre 70 morti da ambo le parti, attribuiti anche a Bastiano, che era imparentato con i Vasa.
Quando fu negoziata la “pace” tra le famiglie, Bastiano poté riavvicinarsi agli stazzi, e si innamorò di una sedicenne, Gavina. Ma non era possibile che un sordomuto fosse accettato come sposo, e dopo quest’ultima delusione, Bastiano scomparve, forse dopo avere concluso la sua ultima vendetta. Di Bastiano, della sua morte, non se ne seppe più nulla: suicida? Fuggito? Ucciso dai compaesani, magari a tradimento, perché troppo pericolosa la sua violenza? Forse solo Gavina ebbe qualche idea di ciò che davvero accadde.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Dall’incipit del libro:
A passi lenti, chiuso ne’ suoi pensieri, camminava per ore ed ore, alla ventura.
Di colle in colle, di balza in balza, egli si agirava per quei dintorni, ma finiva sempre per ritornare al punto donde era partito: ad uno speco, chiuso fra tre blocchi di granito, intersecato da folte macchie di rovere e di lentischio.
La notte era buia, quantunque il cielo fosse stellato; ma quell’uomo era pratico dei sentieri e dei burroni che conosceva palmo a palmo.
Sotto il cappuccio tirato sul viso, i suoi occhi mandavano lampi; dalle falde del corto cappotto di orbace usciva la tersa canna del suo fucile, compagno indivisibile nella sua solitudine: unico amico a lui rimasto fedele nei giorni della sventura.
Assorto in cupe meditazioni, egli teneva gli occhi fissi nel fiocco lumicino, che appariva in una casetta posta sull’altura di S. Gavino di pietra Màina.
Quel punto luminoso era la mèta de’ suoi pensieri ‒ la causa delle sue smanie.
Il cielo era stellato; ma che importava a lui del cielo? ‒ nessun astro in quella notte scintillava come il lumicino che rompeva l’ombre addensatesi sulla terra.
Scarica gratis: Il muto di Gallura di Enrico Costa.