Amelia Pincherle Rosselli scrisse questo breve testo nel 1921 e, fatta eccezione per il lavoro teatrale mai rappresentato Emma Liona, si tratta dell’ultima opera letteraria di questa scrittrice, che dedicò poi la sua vita all’attività di madre e di nonna. Difficile incasellare questo testo in un genere: non è propriamente romanzo, non è biografia, non è un saggio politico. Alessandro Levi ha definito questo piccolo libro un dipinto “muliebre ma con acume virile” del disagio psicologico dei giovanissimi durante gli anni immediatamente successivi al termine della prima guerra mondiale.

Certamente questo testo fu scritto pensando alle mamme che avevano perduto i figli nella guerra recentemente conclusa, al loro dolore, che conosceva bene per amara esperienza diretta; pensando anche ai giovani superstiti, alla nuova generazione che avrebbe voluto riformare la società sconfiggendo odio ed emarginazione; e anche questa conoscenza diretta le apparteneva in pieno.

Il lutto per la morte in guerra del primogenito Aldo indusse Amelia alla riflessione sull’eredità lasciata dall’interventismo, e ne scaturisce una meditazione in forma di breve romanzo suddiviso in quadretti, apparentemente discontinui, sul dolore che spetta a chi subisce la storia privo degli strumenti necessari per prendervi parte.

Il protagonista Mario ha perduto il fratello in guerra e si trova a dover sostenere la madre, straziata dal dolore, durante la consegna della medaglia al valore per il figlio caduto. Non è difficile scorgere anche la preveggente riflessione sul destino di Carlo e Nello, il cui avvenire difficile sarà costellato di pericoli dovuti alla loro passione e impegno politico.

Troviamo infatti manifestata inquietudine e persino un certo fastidio per come i ragazzi rischino di trovarsi coinvolti in uno scontro politico degradato. I giovani che hanno partecipato direttamente alla guerra avevano ideali patriottici e discutevano di letteratura; quanto diversi i più giovani, i fratelli minori:

«Hanno forti ostinate volontà […]. Ammalati di cerebralità. Rosolìa della prima giovinezza. Con la differenza che in passato i giovani erano malati per lo più di cerebralità letteraria; questi di oggi, scagliati anzi tempo nel vivo della vita, sono malati di cerebralità politica»

Amelia era stata convinta interventista alla vigilia della prima guerra mondiale.

Si può dire che, nonostante il lutto gravissimo che l’ha colpita, non rinneghi i sentimenti di entusiasmo che hanno preceduto l’entrata in guerra dell’Italia. Ecco come descrive con immagine toccante il maggio 1915:

«Visione indimenticabile anche se vista con occhi infantili! Lui, lui, il fratello maggiore, nel vano dell’uscio spalancato: capelli al vento, viso acceso, quasi nascosto sotto il drappo dai tre colori, reggendo l’asta dalla punta dorata protesa innanzi come a corsa. Spalanchìo di finestra; irrompere dentro dell’aria dolce e fresca, del suono di campane a stormo.»

Toccante in modo completamente diverso anche la descrizione del dolore di madre durante la visita fatta al campo di battaglia dove il figlio era morto per la patria.

Anche il sentore dei pericoli del nascente fascismo sono presenti e molto ben identificati:

«C’è la corrente nazionalista […] Chiusa, ardente, aggressiva, piena di amore e di odio, feroce nella difesa dei diritti della patria, gelosa della sua grandezza, preoccupata soltanto della sua grandezza, anche se questa è a danno altrui. Che non discute, e alle parole preferisce i fatti; in costante attitudine di difesa e di offesa, dichiara nemico chi non la segue.»

Argomento che sarà sviluppato anche da Piero Gobetti, due anni dopo, il quale contrapponeva la propria esperienza a quella dei “fratelli minori” incantati dal fascismo: «C’è una generazione, oltre a quella del manganello, che la guerra ha maturato, risparmiandola, che si è condannata alla serietà sin dalla adolescenza; che ha fatto in cinque anni la sua preparazione ideale, austeramente, senza sperare vantaggi e senza chiedere posti» (La Rivoluzione Liberale n. 28 25 settembre 1923)

Al di là di intuizioni geniali siamo di fronte a un libriccino doloroso e discreto, quasi mormorato tra ansie e sospiri. Testimonianza pregnante e decisamente non convenzionale sul tema della prima guerra mondiale e dell’intervento italiano.

Fratelli minoriè stato ripubblicato nel 1997 da «Pagine Federaliste», a cura di Vincenzo Calì, Walter Micheli, Paolo Tonelli.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Matricole dell’Università e della vita.
Battesimo di paste, piccole piccole, che costano cinquanta centesimi l’una. Il che non impedisce di mangiarne dieci, venti, come una volta, quando costavano due soldi ed erano grandi come la voglia di chi le comprava.
Matricole ridicolmente giovani, arrivate alla soglia dell’Università di un colpo, saltando anni, scavalcando chi era lontano, lassù, o laggiù.
Scavalcandoli nella scuola, nella vita.
Serbando ancora nello sguardo e nei gesti l’incertezza disorientata di chi ha saltato al di là del segno, e trova davanti a sè il vuoto.
E si dà l’aria spavalda di sapersi tenere dritto in piedi, mentre le gambe tremano. E il cuore anche, che vorrebbe colmare il vuoto col proprio coraggio.
Vuoto fatto di silenzio, di lontananze materiali e morali, di morte. Si grida: «A noi! La vita è nostra! Il mondo è nostro!» ma si sente che il grido non ha risonanze, o le ha troppo lontano, dove ancora l’orecchio non arriva.
È spezzato il filo fra il passato e l’avvenire.
Squilibrio.
Alterazione continua di valori.

Scarica gratis: Fratelli minori di Amelia Rosselli.