L’ambiente del circo, dei girovaghi e degli artisti di strada ha sempre avuto una certa attrattiva per scrittori e romanzieri. Se ne potrebbero citare a decine, ma limitiamoci ad alcuni più noti, come Senza famiglia di Malot che è del 1878 e subito dopo (1881) i romanzi di James Otis imperniati sul mondo del circo e sul personaggio di Toby Tyler che in italiano prese il nome di Flick (Tre mesi in un circo).
Ma solo l’anno precedente a questo Il carro dei folli Riccardo Marchi vinse il premio letterario dei Dieci – presieduto da Massimo Bontempelli – con il romanzo Circo equestre. E il filone non si interruppe neppure dopo: possiamo leggere in questa biblioteca Manuzio All’insegna del buon Corsiero di D’Arzo e, tra i capolavori del cinema, non si può dimenticare La Strada di Fellini, che per vari aspetti riporta alla mente personaggi e dinamiche di questo romanzo di Ugolini.
Al di là dell’ambientazione, i temi che Ugolini, qui alla sua prima opera narrativa di ampio respiro e di più organico impegno, sono quelli tipici del realismo narrativo. Nello stesso 1929 Moravia dà alle stampe Gli Indifferenti e quattro anni dopo Ugo Betti raccoglie in volume i suoi racconti sotto il titolo Le Case (in questa biblioteca Manuzio nell’e-book Novelle edite e rare). Ipocrisia, grettezza, incapacità di perseguire e raggiungere la felicità sono le linee di indagine di queste narrazioni. La vita nomade ed eccentrica degli artisti di strada è un valido palcoscenico per evidenziare questi temi. Ci troviamo quindi sempre in bilico tra farsa e dramma, tra allegria e disperazione. Maschere da clown e improbabili vestiti da sultano fanno da cornice al volteggiare dell’audace equilibrista “funambulo” Dùcor che si esibisce spericolatamente tendendo la sua fune tra un tetto e l’altro, e alle danze ammalianti di Lisalka, bellissima e seducente davanti a un palcoscenico rudimentale alla luce di lampade ad acetilene e a quella delle stelle.
Ma dietro il tendone troviamo invece la cupa realtà della sofferenza, della prepotenza, della passione che dilania l’anima fino a farla sanguinare. Anselmo, personaggio centrale attorno al quale orbitano gli altri, fugge dalle lamentele di una vecchia e malata domestica, unica rimasta della famiglia di origine, e dalla sua vita di straccivendolo e commerciante di “robivecchi”. Si imbatte nel carro di Dùcor in procinto di giungere alla periferia di Roma e rimasto senza cavallo. Aiuta a spingere il carro fino a destinazione e resta poi con i girovaghi nelle vesti di banditore. Il clown è il disgraziato Filippo, visionario in cerca della formula del moto perpetuo, incaricato anche della questua tra gli spettatori (l’accesso del pubblico allo spettacolo è libero) assieme alla moglie Teresa, bellezza sfiorita e malata di malaria e priva di cure. Dùcor è violento e dominatore. Abusa di Teresa e la getta via quando non gli è più utile ma è innamorato di Lisalka con la quale il rapporto è ambiguo, perché lui si sforza di esserne dominatore ma in realtà ne è succube. Non è certo un romanzo di intreccio, ma costruito su pagine di vita, dove l’autore dimostra un’abilità non comune nel tratteggiare caratteri, ambienti, personaggi.
Molto belle le pagine dove, all’osteria, un gruppo di operai e di anziani discutono sul possibile “trucco” che starebbe secondo alcuni dietro all’esibizione del funambolo. La dinamica della discussione “da bar” è presentata in maniera eccellente, ed è eterna nel suo svolgersi e nei suoi personaggi, che resistono ai cambi delle epoche, degli ambienti e dei mezzi con i quali si comunica. Il destino tragico degli abitatori del carro aleggia in ogni pagina fino al drammatico finale che corona una serie di tre giorni plumbei e piovosi nei quali l’esibizione serale non è potuta avvenire, ma prepara con le grige penombre lo scenario di morte, di fame, di disperazione e di indifferenza per la mancanza di avvenire.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
— Sono stanca, hai capito? Sono stanca. Avessi almeno la salute! Ah, Dio!…
Le braccia grasse della donna s’agitarono per l’aria; le sue gambe gonfie cessarono di dondolare. Ella guardò il soffitto affumicato, poi tornò a fissare lo sguardo su Anselmo, che se ne stava ritto presso il tavolo.
— Non dici nulla tu, non dici nulla! – continuò la donna con voce più fioca. – Nulla! Già, a te che interessa della mia salute! Ed è giusto, giusto! Non ti sono nulla, io! Si capisce! Io ero troppo poco per quella buonanima di tuo padre! Una serva! Si sposa forse una serva? E poi c’eri tu che avevi i tuoi diritti! Bei diritti! Lo si è visto poi…. Intanto se non era per me, per questa serva che ti sta dinanzi, a quest’ora tu saresti Dio sa dove! Ma ora basta! basta!
La voce della donna si fece più acuta. Si picchiò il petto.
— È questo che non regge più. Ho qualcosa qui dentro che mi rode, che mi ammazza!… Ma già, raccontarlo a te è come non dire nulla! È così, vero?
Anselmo continuò a tacere. Egli aveva posato una mano sul tavolo; guardava di sottecchi la donna che, seduta sul letto, aveva ricominciato a dondolare le gambe nel vuoto.
Scarica gratis: Il carro dei folli di Amedeo Ugolini.