Una delle prime opere della Vertua, pubblicata nel 1888 e digitalizzata a partire dalla prima edizione, questo romanzo contiene personaggi e situazioni emblematici del panorama da cui la scrittrice trasse le sue opere. La forma del romanzo è rivolto alla educazione delle fanciulle, il nuovo pubblico dell’Italia umbertina che si affacciava al mercato letterario; la Vertua scrisse anche per l’infanzia, sia novellistica sia opere teatrali.
Nora è una giovane bruna, bellissima, dotata di una splendida voce di soprano; ma è orfana e povera; può studiare in collegio grazie ad una borsa di studio per le orfane degli ufficiali. L’invidia di una sua compagna, Clizia, cui ricchezza e nobiltà di blasone non bastano, la porta ad essere, come diremmo oggi, bullizzata: calunnie e paura dello scandalo fanno sì che sia scacciata dal collegio ed accolta dai suoi due unici parenti: uno zio, prete in un paesino di campagna nella pianura lombarda, più interessato al quieto vivere che alla cura della nipote, ed una zia nubile, anzi, zitella, aspra e scontrosa, che gli fa da perpetua.
Nora cerca di ricostruirsi un’esistenza serena in un ambiente umanamente freddo ma ricco di bellezze naturali; poi conosce un vicino di casa, Giorgio, che la invita a coltivare le sue doti canore e le ridona il sorriso e la fiducia. Ma l’opera di bullismo continua anche al paese, dove la bellezza di Nora invita gli approcci del giovane marchese Frippoli, cui Clizia è fidanzata per via di un accordo famigliare, ma senza nessun trasporto di affetti, e porta nuove maldicenze, a cui crede anche Giorgio. Se alla fine l’amore trionferà, il merito andrà a un giovane cretino, Ceccone, che ricambierà le passate gentilezze di Nora strappandola ad un tragico destino e facendole ritrovare Giorgio.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Dall’incipit del libro:
Quando la maestra sorvegliante si fu ritirata in camera dopo il suo solito giro lungo il dormitorio, e le compagne ebbero cessato di bisbigliare fra di loro, Crezia sgusciò dalle coltri, indossò una gonnella succinta, infilò i piedi nudi nelle babbucce, e, pian piano, alla smorta luce della lampada di notte, andò fino all’ultimo letto, presso l’uscio.
Nora vide la compagna avvicinarsi e si tirò a sedere sul letto.
— Che vuoi? — chiese poggiando i gomiti sul guanciale e sporgendo innanzi la testa.
— Che tu mi perdoni! — rispose Crezia abbassando gli occhi.
— O che intendi tu per perdono? — le domandò Nora fissandola con i suoi occhioni neri.
— La dimenticanza! — mormorò Crezia.
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