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(voce di SopraPensiero)
ALI AL NIMR ha appena compiuto 22 anni. E’ il sesto compleanno che festeggia nelle carceri arabe da quando, a 17 anni, nel corso della primavera araba, Ali ha partecipato a una manifestazione studentesca in protesta del governo arabo-saudita. Non ha ucciso nessuno, non ha violentato, ha solo manifestato. Dopo aver subito un processo sbrigativo e sommario, costretto da giorni e giorni di tortura a confessare chissà quale crimine, è stato condannato alla pena capitale che prevede l’uccisione per decapitazione e la crocifissione nella pubblica piazza fino a putrefazione del corpo. La stessa macabra sorte toccherà ad altri 14 detenuti, nel 2017 le esecuzioni sono state 66.
Quei paesi che si scandalizzano e scatenano guerre per le teste mozzate dall’Isis, finanziano e fanno affari con chi crocifigge innocenti alla luce del sole e – se escludiamo qualche rapida quanto inutile raccolta di firme – si girano dall’altra parte. Non solo.
L’anno scorso a Ginevra le Nazioni Unite, a seguito delle pressioni della Gran Bretagna, hanno avuto l’ardire di eleggere presidente per i diritti umani niente meno che l’ambasciatore di Riad. L’Arabia Saudita, con la sua monarchia assoluta teocratica in cui vige la sharia e il wahabismo (quell’indirizzo religioso che interpreta il Corano strettamente alla lettera), è il paese che detiene il record di esecuzioni capitali, qui la donna ha la condizione tra le più arcaiche al mondo. Ma è evidente che a petrolio, dollari e politica tutto è permesso, anche di crocifiggere un adolescente.