Il romanzo, pubblicato nei primi anni del Novecento dalla prolifica scrittrice Anna Vertua Gentile, racconta la vicenda della giovane, bella e ricca Ulrica, che per un incidente mentre pattina, è costretta a letto immobile, forse per sempre.

L’affetto del padre, della governante inglese Miss Eva (che l’ha allevata dopo la morte della madre) e di una famiglia amica riesce a rendere la malattia meno insopportabile. Tutto il villaggio si stringe intorno alla malata, ma la spinta decisiva verso la guarigione viene dall’amico d’infanzia Mario, studente di medicina, che conosce un luminare inglese, il professor Baker, l’unico che potrà guarire Ulrica. La guarigione rende la giovane consapevole del sottile confine tra salute e malattia, gioia e disperazione, e la stimola a voler diventare fonte di speranza per il suo prossimo: fonda infatti un ospedale per i poveri, ed un asilo per i bimbi. E troverà finalmente in Mario l’amore.
Nello stesso volume, due racconti anche essi ispirati alla vita dei villaggi e alle vicende sentimentali di giovani donne, capaci di distinguere tra ipocrisia e sincerità nei cuori delle persone vicine.

Sinossi a cura di Gabriella Dodero

Dall’incipit del libro:

Fra tutti, signore, signorine, giovinotti e fanciulli, quella che patinava con maggior foga ed eleganza, era certo Ulrica, l’unica figlia dell’ingegnere Pardi, il proprietario della grandiosa ferriera della valle.
Vestita con fine semplicità, di panno scuro, il cappelluccio sbertucciato e sguernito in testa, le mani nel minuscolo manicotto, ella scivolava con aggraziati ondeggiamenti della persona alta e sottile, sopra il ghiaccio del vasto prato, cinto ai tre lati da piante brulle ricamate di diaccioli e riparato da una barriera di legno là ove si apriva a picco sul torrente, dal greto sassoso e dalle sponde irte di radiconi e cespugli.
Molta gente era venuta dalla città vicina per patinare in quella splendida giornata di sole. Erano venuti in bicicletta, in carrozza, in automobile e a piedi; tutta una giovinezza sana e avida di moto e di serene emozioni.
Vi erano parecchi ufficiali e molti studenti di Università. Fra questi era Mario, figlio del direttore della ferriera, amico d’infanzia d’Ulrica e ora studente in medicina e alla vigilia della laurea.
Mario era un giovane biondo, slanciato e sottile; somigliava la madre, che era inglese. Studioso, serio, di carattere mite, e nella mitezza forte, egli era assai stimato da tutti e specialmente dall’ingegnere Pardi, che gli voleva bene come a un figliolo. Egli aveva seguiti gli studi, dal Ginnasio fino all’Università, senza lasciare la famiglia, andando il mattino per tornare la sera, ogni giorno, alla vicina città.

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