È davvero così importante la reputazione? Eppure, parafrasando Verga, come la roba non la portiamo nella tomba! Ancora oggi molti tengono al decoro e alla rispettabilità.  Ci sono anche persone che prendono di mira altri, cercando di attaccare sistematicamente o perfino distruggere la loro immagine. Già Pirandello aveva studiato la molteplicità interiore e il fatto che indossiamo delle maschere. In società cerchiamo sempre di essere presentabili e cerchiamo di nascondere difetti, eccessi, tare, vizi. 

 

Per Gabriel García Márquez abbiamo tutti tre vite: una vita pubblica,  una vita privata e una vita segreta. Ma potremmo spingerci oltre e affermare che certe cose le rimuoviamo  e non le confessiamo neanche a noi stessi. Goffman analizzò codici e comportamenti sociali a riguardo. Secondo Goffman ogni persona in un gruppo sociale ha una faccia, cioè una certa immagine di sé. Per il sociologo ognuno cerca di dare la migliore immagine di sé stesso. Il gruppo avrà delle aspettative conformi alla faccia che ha una persona e di conseguenza questa dovrà agire secondo una linea di condotta coerente. Ad esempio un individuo considerato cortese e sensibile dovrà stare attento a non ferire i sentimenti altrui. La stessa cosa dicasi per una persona morigerata, che dovrà tenere comportamenti coerenti. Con l’espressione gioco di faccia Goffman intende “tutto ciò che si fa per rendere le proprie azioni coerenti con la faccia”. Il gioco di faccia è caratterizzato dal tatto, dalla compostezza, dall’autocontrollo. Se la faccia di un uomo viene offesa, la può considerare come una sfida, addirittura come una minaccia alla sua identità. Le mosse seguenti del comportamento rituale possono essere l’offerta di riparare all’offesa, l’accettazione da parte dell’offensore, il ringraziamento per essere stato perdonato. Se un gruppo di persone cerca di far perdere la faccia a una persona ritenuta scomoda o antipatica, nella maggior parte dei casi cercherà di farla sentire  in imbarazzo, di deriderla, di sminuirla al cospetto degli altri, perché provi vergogna o si senta inadeguata. Per Nietzsche il rispetto della morale si fonda sul senso di colpa, sulla vergogna, sulla pena. Ritornando alla perdita di faccia, il bersaglio diverrà quindi  oggetto di derisione e verrà umiliato.  Per il filosofo Bergson per far scaturire il riso si deve tener presente che:

  • i nemici del riso sono sentimenti come pietà o compassione 
  • il riso è sempre il riso di un gruppo. Bergson fa l’esempio di un individuo da solo che ascolta le barzellette del gruppo presente nel suo scompartimento di treno. Lui si tratterrà dal ridere, mentre i componenti del gruppo rideranno a crepapelle. Il riso presuppone quindi intesa, complicità, senso di appartenenza. 
  • gli ideatori di scherzi e battute devono fare in modo che la vittima sia indotta in uno “stato di automatismo e rigidità”.
  • alcuni lapsus e giochi di parole possono far scaturire il riso. Secondo Bergson “le distrazioni del linguaggio” creano il comico.
  • enfatizzare dei piccoli difetti può far ridere.
  • per il filosofo francese il riso è “veramente una specie di castigo sociale”.

 

Ecco allora che un gruppo può deridere un singolo agendo con sottintesi, allusioni, che diventano vere stoccate nell’animo della vittima. Una sola battuta lascia il tempo che trova,  ma immaginiamo l’effetto della “goccia cinese” che può avere un atteggiamento simile a lungo termine. Di solito nei casi di mobbing le strategie comunicative sono le pause di silenzio ogni volta che la vittima entra in ufficio, le minacce, le offese, i rimproveri eccessivi, le critiche alla persona e non al suo operato.  Talvolta però le strategie verbali di mobbing non si basano su delle sfuriate ma sono azioni sofisticate. Tramite doppi sensi e allusioni, di cui pochi intimi conoscono le premesse, i mobber possono ferire senza offendere la vittima. Se queste strategie verbali si svolgessero di fronte a degli estranei,  spesso non sospetterebbero certo che quelle frasi possano essere un modo per distruggere l’altro. Queste strategie verbali spesso presuppongono l’utilizzo di un gergo, di ciò che gli inglesi chiamano private talk. Bisogna però considerare che oggi la compromissione della reputazione non è importante come decenni fa quando c’era molto più moralismo e più perbenismo. Inoltre  è anche vero che oggi ognuno di noi ha identità sociali plurime e che quindi se viene screditato in un gruppo, può rifarsi in altri contesti sociali. In definitiva oggi facciamo parte di così tanti microcosmi reali e virtuali che possiamo sceglierci e che possono compensare un ambiente negativo come il luogo di lavoro o la comunità di appartenenza. Infine come sosteneva Margaret  Mitchell: “Fino a quando non perdi la reputazione, non ti rendi conto di quale fardello fosse”.