Romanzo e novella, nella letteratura italiana, hanno quasi sempre trovato il loro respiro migliore nell’ambiente della provincia; e questo, unico, romanzo di Ortolani non può che confermare questa osservazione più volte ripetuta.

Anche Rufino, figlio di un becchino e di una contadina, scolarizzato per un solo mese, rientra nella categoria degli “umiliati e offesi”. Cerca il riscatto, dopo aver ereditato un piccolo gruzzolo e un’officina di riparazione di biciclette, nell’amore di Meg, figlia di emigrati tornati in patria. Ma Meg è tutt’altra personalità, spregiudicata e ingorda di senso. Fugge col cognato (?) dopo aver trascinato Rufino nell’avventura della gestione di una delle prime sale cinematografiche del cinema muto. Il poveretto precipitato nella vergogna e nei debiti si toglie la vita. Nel romanzo, che al suo apparire non passò certo inosservato ma avrebbe meritato attenzione anche migliore, il pregio più importante è la scrittura; pur se carica di impressioni scorre abbastanza leggera, delineando affetti che possiamo percepire con schiettezza e proporzione. È ottimo l’aver potuto abbinare all’immediatezza dei sentimenti, l’attenuazione di ciò che risulterebbe maggiormente crudo (oltreché abusato nella letteratura del periodo). La spavalderia goliardica e popolana che nelle pagine del romanzo troviamo ampiamente diffusa prelude al repertorio di situazioni che caratterizzerà poi le produzioni poetiche dell’autore, ancora più evidente nel racconto che si trova in appendice al romanzo, Le inesperienze: la fatica degli studi, una promessa d’amore, un bel viso appena intravisto alla finestra, la piacente padrona di casa. Infatti l’autore, che sarà soprattutto esperto d’arte, dedicherà i suoi sforzi letterari prevalentemente alla poesia, forma dove forse meglio ha potuto sviluppare la sua scrittura briosa e intensa di impressioni.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Nacque, visse, morì di quest’anni nella più dormigliosa terra sotto l’occhio del sole: una cittaduzza turrita che s’arrotola sopra un collicello e lo cinghia di mura.
Quattro stradoni s’appuntano dall’orizzonte spianato alle quattro Porte; quattro viacce torte s’inerpicano fino in sommo, dove spazia la Piazza quadrata col suo Palazzo del Comune in còtto vivo, la Cattedrale di San Rufo patrono fiorettata di marmi, e due grandi conventi di qua e di là.
Cittadella d’Italia, che ancóra dell’antico ritiene l’accorto spirito rinchiuso; ma il bel fiume a piede, cerulo e spanto nel piano, le fa sognare l’enormità dei monti onde cala, a pena segnati nel cielo; del più remoto mare che se lo beve a grandi sorsate armoniose e piene di respiro. Uomini ardenti e fieri avevano popolato quelle torri in èvi lontani; femmine bionde, possenti signore. E la Piazza quadrata aveva accolto fragore d’armi e di canti al tocco della martinella. Poi la nuova borghesia s’era rubato il suo bene pei castelli del piano e aveva fatto di tutto commercio, con allegra impudenza, pel mondo intero: pingui donne e bimbi ciarlieri rinfrescavano le stanche anime dei mercanti, ai ritorni.

Scarica gratis: Rufino protomartire di Sergio Ortolani.