Paolo Ruffili, L’isola e il sogno, collana «Le strade», Fazi Editore, Roma 2011, pp. 196, € 17.50, Codice EAN:

9788864112527

«La spessa foschia allargava in cielo un biancore diffuso di lana qua e là sfilacciata. E a un tratto il velo si era sfilato, tirato su dalla scena al soffio dell’aria».

«Una vampata di vita attraversava la città, riemersa dal baratro dell’imminente morte il cui spettro aveva gravato sulla testa di tutti con il suo nero scialle».

Mentre la nave si avvicina alla costa, l’immagine intrigante di Palermo sfuma alle luci del mattino e i ricordi prendono corpo sostanziandosi nell’alba come ritorno, nascita ed epifania di svelamenti. La passione è «vile agguato» in ogni caso, è una confisca della libertà, prigionia dell’essere, dimenticanza dell’«altro da sé ». Parole e sorrisi, amori a cui il corpo è d’intralcio e corpi senza amore ma brucianti di desiderio, passioni represse di un popolo da sempre sottomesso e di un pugno di uomini senza armi abbandonati dai picciotti e disattesi dal governo, trovano la loro essenzialità nel continuo differimento che li conduce. La voce dell’acqua risuona nelle immagini e parole di Ippolito, sua madre e Bice sfogliano come nella silloge dell’autore «camera oscura», un album che spesso le vede sovrapposte, amori non consumati che lasciano indietro i sensi per poter essere vissuti mentre il cielo torna a tradurre la parola poetica di Paolo Ruffilli, luminosa come in Diario di Normandia e ne Le stanze del cielo dipinto di desiderio d’infinito, ebbro di luce («mi ubriaco d’universo» scriveva Ungaretti) che sfuma la coscienza del reale nel dubbio dell’ipotesi, continua ricerca di contraddizioni esistenziali per offrire senso ai sensi e corpo all’anima in un naufragio dove Ippolito senza paura si era lasciato andare tempo addietro. «lo aveva invaso poi la pace di una beatitudine profonda: il senso pieno che stava riportandolo a se stesso». (Di un’esperienza personale di pre-morienza in mare ne parlerà Ruffilli stesso alla presentazione della raccolta Le stanze del cielo a Macerata).

«Il cielo era vivo ed intriso di una luce che scavava nell’aria una strada aperta, lasciando l’orizzonte verso mare e cielo [ […]] Il Monte Pellegrino stagliava la sua massa viola in una nuvola rossastra, attraversata dai raggi del sole che nasceva [ […]] sembrava cancellato per magia il sapore di polvere e di sangue che aveva invaso i quartieri di tutta la città». Cancellato tutto come se le lotte garibaldine non avessero lasciato tracce se non nell’animo di Garibaldi che, fattosi da parte dopo aver liberato le Sicilie, si era consegnato alla vera libertà della solitudine. Ora l’isola, procace cortigiana, attendeva con mille fioriture l’ultima giubba rossa il cui sogno resterà l’interrogativo eterno di un perché in un ondivago oscillare tra cielo e terra. E la storia si avvicenda nell’animo che Ruffilli scandaglia e coglie e ferisce e illumina mentre le vicende assumono l’alternarsi di eterni percorsi di vincitori e vinti. Il rientro di Ippolito a Palermo per raccogliere la documentazione della spedizione garibaldina lo avrebbe rimesso nelle lungaggini burocratiche, a contatto di lavoratori stanchi e ottusi ma tornano le parole di Dumas «Palermo è un termine: è la Primavera, dopo l’inverno. È il riposo dopo la fatica. È il giorno dopo la notte, l’ombra dopo il sole, l’oasi nel deserto». Ippolito lo sa, lo pregusta, lo teme. L’incontro con Palmira respirerà di pelle, corpo, rossori, arance, risate e coscienza di una totalità possibile anche se caduca.

«Dobbiamo salutarci Ippolito come se ci vedessimo domani e tutti i giorni prossimi a venire [ […]] non è la meta, no, che importa per davvero. Credimi, che conta di più il percorso».

In una circolarità che rimanda alle grandi opere di Verga e di Conrad, il romanzo di Ruffilli si articola in un tuttotondo che inizia dall’inquietudine di un viaggio per mare e che al mare torna. Il naufragio ricomporrà i dissidi interiori nella totalità dell’amore ed equilibrerà ancora come nel poemetto La gioia ed il lutto, la vita e la morte nella consolazione di perdersi, come aveva scritto nella prima parte del testo. «E le onde della vita cadevano sul petto e facevano presto a ricoprire la testa togliendo subito il respiro».

«Tutto è rigorosamente autentico, tutto è rigorosamente immaginato» conclude l’autore nella nota finale. E l’immaginazione, spaesante creatura ruffilliana del vivere, abbraccia L’isola e il sogno e si veste d’ arte.