Questo testo, pubblicato nel 1948, raduna un insieme di brevi saggi – spesso estratti da altri libri e articoli di giornale – e di discorsi che Sforza scrisse nell’arco di quasi trent’anni. Il primo di questi scritti è infatti del 1920, quando ancora l’autore era in Italia, e i più recenti del 1948. Con questa scelta il curatore intende evidentemente delineare il percorso che Sforza, mazziniano nell’interpretazione degli accadimenti, ha seguito nello sviluppo coerente del proprio pensiero e della propria azione. Già con il trattato di Rapallo infatti aveva posto le basi per un metodo di intesa tra le nazioni europee che potesse nella sua logica essere di freno a nuovi conflitti. Questo lo portava in conflitto con le idee ultranazionalistiche che stavano prendendo consistenza in Italia. Cercò di contrapporre al “principio di indipendenza” quello di “interdipendenza” delle nazioni europee. Quando dovette trasferirsi negli Stati Uniti a causa dell’occupazione tedesca della Francia, si diede da fare anche lì, col movimento “Italia libera”, per gettare quanti più semi possibile per i nuovi percorsi che avrebbero dovuto essere seguiti al termine della guerra. Anche l’adesione al piano Marshall all’indomani della firma del trattato di pace con le forze alleate, che contribuì a fare approvare dalla Costituente, va visto in quella direzione. Sforza lo intese infatti come un primo passo in direzione di una futura unione europea. In L’Italia alle soglie dell’Europa, pubblicato nel 1947, Sforza scrive:

«Nessun paese più dell’Italia è maturo pel grande evento dell’unione europea; più certo della Russia che è come un mondo a sé, più della Francia che non ha ancora pienamente compreso che solo l’unione di tutti i popoli liberi la salverà dall’incubo tedesco; più della Gran Bretagna ancora legata dagli splendidi interessi del suo libero Commonwealth. L’Italia ha tutto da guadagnare e niente da perdere col divenire araldo dell’ideale europeo; essa dovrebbe proclamarsene il Piemonte.»

Quindi ogni piccolo passo che lui vedesse portato in quella direzione era auspicabile. Proprio mentre scriveva il testo dei due articoli pubblicati su “Il Corriere della Sera” che sono compresi in questo libro, aveva un incontro a Torino con Bidault per l’applicazione del piano Marshall nell’ambito della OECE; l’anno successivo riusciva a realizzare l’accordo per giungere all’Unione doganale italo-francese formalizzato il 26 marzo 1949 a Parigi in un incontro con Schuman.

Si può dire che Sforza ebbe intuizioni importanti cogliendo gli aspetti che si andavano manifestando fin dagli inizi del XX secolo e che rappresentavano momenti di crisi manifestatisi poi con le guerre mondiali e il fascismo, crisi che condussero poi alla perdita della propria autonomia da parte degli stati nazionali europei nel loro complesso e il loro inquadramento, in posizione subordinata, nel nuovo sistema mondiale degli stati fondato sull’equilibrio bipolare USA-URSS. In questo ambito sono maturate esperienze, delle quali Sforza fu interprete non secondario, che hanno portato a prese di coscienza particolarmente forti nell’ambito della Resistenza europea e che hanno potuto coinvolgere la maggioranza delle forze democratiche. In tali esperienze l’obiettivo era appunto quello che Sforza manifesta già nel titolo attribuito a questa raccolta di scritti, vale a dire quello di eliminare le ragioni di belligeranza armata in Europa, passando quindi dai conflitti nazionalistici a una solida collaborazione duratura e pacifica tra gli stati europei. Senza questa presa di coscienza a livello delle direzioni politiche l’idea dell’unità europea – che ha, come è noto, storia plurisecolare, risalente fino alla Monarchia di Dante Alighieri – non avrebbe potuto tradursi, dopo il 1945, nell’esperienza concreta della costruzione europea.

L’impulso dato da Sforza fu molto importante per avviare questo processo sotto un’egida di impronta confederalista, che si tradusse nel 1948 e 1949 nell’Organizzazione europea di Cooperazione economica (OECE) e del Consiglio d’Europa. Questa strada dimostrò però ben presto di essere strutturalmente poco redditizia al fine di ottenere progressi sostanziali nell’integrazione. A questa fase succedette quindi un’altra di impostazione funzionalista, sostenuta da Monnet, che presto portò alla creazione delle tre comunità europee (CECA, CEE, EURATOM); fase che vedeva da una parte l’esigenza di procedere alla ricostruzione economica e politica della Germania, essenziale per consolidare il blocco occidentale, e dall’altra quella di vigilare sul fatto che una rinascita del tutto autonoma dell’industria tedesca potesse essere il germe per far risorgere il nazionalismo tedesco. Non vi era quindi altra strada che quella proposta da Monnet nel maggio 1950 di sottoporre a un comune controllo europeo l’industria carbosiderurgica tedesca assieme a quella francese e degli altri stati disponibili; idea che trovò subito il consenso sia di Adenauer che dell’Italia e del Benelux. Sforza, ormai malato, potè tuttavia vedere sorgere questa “Europa a sei” e certamente possiamo credere che l’inizio del coronamento dei suoi sforzi, anche se non del tutto in linea con quanto aveva auspicato, possa averlo lasciato almeno parzialmente soddisfatto.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del primo saggio Una politica di Società della Nazioni:

I reggitori della politica estera di un gran paese non hanno il diritto nè di vantarsi idealisti puri, nè di sentirsi professori; la storia può aver necessità crudeli, ed è vano sperar di sfuggirvi in attesa del sole dell’avvenire. Ma bisogna saper dirigere gli interessi del proprio paese nel senso della corrente che il periodo storico attraversa – e non scambiare per il corso della storia certi mulinelli che si posson verificare a ritroso, lungo sponde fangose.
Talleyrand, rappresentante un paese sconfitto, fu vincitore al congresso di Vienna, perchè seppe lanciare e porre in valore una formula idealistica di cui la pace del mondo aveva allora bisogno: il principio di legittimità. Non aveva altra arma per restituire alla Francia vinta la sua frontiera e per assicurare ad una sperata egemonia francese il mantenimento dei piccoli Stati.

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