Due racconti della scrittrice calabrese Giovanna Gulli, comparsi sulla rivista “Il Convegno”, ci fanno assaggiare il suo stile originale attraverso due brevi immagini di vita contadina.

Memmo è un bambino di 9 anni, vive in campagna con la madre, che si prostituisce. Prende a odiare in particolare un cane, e un giorno denuncia la madre al gelosissimo massaro, solo perché la madre ha accolto un cane in casa.

Il cane del secondo racconto è un bastardino, Tuffolo, che dalla campagna dove è nato, si ritrova a vivere in una casa di città, da cui fugge per vivere libero, una notte di luna. E senza sapere cosa gli sta capitando, finisce nel furgone dell’accalappiacani.

Notevole in entrambe le opere la capacità di rendere il pensiero di due creature marginali, e nemmeno troppo intelligenti, secondo i nostri parametri. Nella prefazione all’opera più nota della Gulli, Caterina Marasca, Leonida Repaci scrisse a proposito di questi brevi scritti:

«Solo “Il Convegno” le pubblicò un racconto che ha per protagonista un cane, e che per me è un capolavoro.»

Sinossi a cura di Gabriella Dodero

Dall’incipit del primo racconto Memmo:

Era nato con una implacabile oftalmia. E con una disperata avversione per i cani. – Figlio di un cane! – glielo ripetevano sempre. Però era figlio di suo padre. Quell’uomo lercio, grande, con un insopportabile labbro leporino lo sapeva perchè il gemito della verginità moribonda della sottile figlia di Marco l’aveva veduto lui e non un altro; anzi aveva anticipato. Rosa allora era magra; ora era bolsa.
La campagna era la gran casa. Vagabondava e trafiggeva coleotteri. I punti fluidi e violastri dell’orizzonte gli parevano lontanissimi. Nel largo riflesso guardava i nenufari. Puzzava di nepitella. Ascoltava la stupenda elegia degli uccelli.
La meravigliosa policromia gli faceva spuntar sulle labbra un sorriso ebete.
Rubava mele, fichi, uva; grasse manciate d’erba nella terra degli altri.
Scappava ridendo quando lo scoprivamo, comprimendosi i battiti per la fatica dolorosa del diaframma. Quando vedeva un cane randagio emetteva un grido di squilibrio e fuggiva fra le macchie scurissime. Se poteva gli gettava dietro tremando dei sassi. Odiava il sole, perché gli inquinava gli occhi verdastri. Aveva le gambe un po’ divaricate.

Scarica gratis: Memmo ; Un cane di Giovanna Gulli.