Come dichiara il curatore Pietro Fanfani, questa novella contiene “il racconto di una solenne burla fatta dal Brunellesco, dal Donatello e da altri artisti, a un Manetto Ammannatini lavorator di tarsíe, detto il Grasso legnajuolo”. Il Fanfani, attraverso un accurato confronto con le antiche edizioni, ricostruisce fedelmente il testo, e fa di questo aneddoto un esempio del “bello e riposato vivere” che si ritrova nella Firenze dei sec. XIV e XV, almeno nella vita privata.

Sinossi a cura di Catia Righi

Dall’incipit del libro:

La città di Firenze ha avuto uomini molto sollazzevoli e piacenti ne’ tempi adietro, e massime l’età passata, nella quale accadde nello anno 1409 che, così come per lo adietro erano usati, ritrovandosi una domenica sera a ciena insieme certa brigata et compagnía di più uomini dabbene, così di regimento come maestri d’alcune arti miste e d’ingegno, quali sono dipintori, orefici, scultori e legniajuoli e simili artefici, in casa di Tomaso Pecori, uomo molto dabbene e sollazzevole e d’intelletto, appresso del quale egli erano, perchè di loro pigliava piacere grandissimo; et avendo cenato lietamente, e sedendosi al fuoco, perchè era di verno, quando in disparte e quando tutti insieme quivi di varie e piacievoli cose ragionando, conferivano intra loro la maggiore parte dell’arte e professione sua. Et mentre che confabulavano insieme, disse uno di loro: Che vuol dire che questa sera non ci è stato Manetto legniajuolo? (chè così aveva nome uno, che era chiamato el Grasso:) e nel rispondere si mostrò che alcuno di loro gliene avessi detto e non ve lo avesse potuto condurre, che se ne fussi stata la cagione.

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