Paolo Ruffilli, Natura morta, Nino Aragno Editore, Torino 2012, pp. 123, euro 10,00 – ISBN: 978-88-8419-564-7
«È che non amo/ gli squarci di natura/ se non da fuori/ del palcoscenico,/ da un giusto osservatorio/ almeno per il poco/ che si possa/ presidiato» (Diario di Normandia)
Una copertina grigia, una poesia incisa su «stele» bianca avvolgono un quaderno nero, come quelli di una volta e anticipano la musicalità di un programma poetico che, tra strappi e «ricuciture» e rientri e dilazioni, si snoderà attraverso l’intera raccolta per accordarsi nel contrappunto della contraddizione come ipotesi di ricerca. «La ragione è un lume; la ragione vuole essere illuminata dalla ragione non incendiata» scriveva Leopardi che poi avrebbe precisato nello Zibaldone che non è l’infinito il piano dell’agito umano, bensì l’indefinito. E l’amore e la conoscenza del grande recanatese respirano in Ruffilli, l’asmatica ricerca dell’uomo e indicano nella parola l’unico varco alla costante balbuzie esistenziale.
«Emerge su dal fondo/ esonda la parola/ a rompere il silenzio/ e pronunciare al mondo/ ciò che aspetta/ ancora dall’assenza» per essere di nuovo ri-nominata quando si faccia «gabbia» o «reticolo» a se stessa.
E in questo flusso continuo, l’acqua torna ad essere una delle costanti della poesia di Ruffilli. «Fluttuare, esondare, dilagare, affogare, orlo che sale, brodo germinale, acqua fredda contro gli occhi, galleggiamento, deriva, flusso e riflusso». Da queste forme prevalentemente verbali, l’azione del pensiero e della ricerca certi che la natura per suo conto operi e non a vantaggio dei mortali e che proprio dalla solitudine di questa meditazione più aggressivo debba essere lo sforzo di mettere a fuoco, nel disvelamento degli opposti, «l’infinito umano».
«Ed è la quiete, invece,/ il passo della vita:/ andante cadenzato/ vibrante modulato/ di toni e di battute/ in un tracciato/ di piccole impennate».
Natura morta procede per antitesi, differimenti, ossimori, depistaggi, e, man mano che ci si inoltra, Ruffilli strappa e riposiziona parola e pensiero in un saliscendi consapevole che tutto comprende e niente esclude.
E il respiro della sua poesia è tranquillo e conciliato quando il disgregarsi del reale si ricompone nell’equilibrio degli opposti e nella molteplicità del tempo «dilagato».
Si rafforzano le connotazione del «qui», «ora», «adesso» tradotte da una temporalità «masticata, digerita, gustata» dal corpo di «affari di cuore», metafisico nella fisicità, padrone nel sentire dei cinque sensi, in perenne dicotomia tra i grandi eventi e il quotidiano succedersi dei fatti inconsapevoli spesso «di quanta morte/ necessita la vita/ per fiorire».
Perseguire il punto di contraddizione e avvertirlo nel suo accadere, è l’urgenza filosofica di Ruffilli e insieme accoglienza della vita nel suo permanere «corolla di tenebre».