Lucia Genga, La Ballata di Corinna, Prefazione di Beppino Englaro, Edizioni Book Salad, Anghiari 2013copertina - La ballata di Corinna, pp. 190, euro 14,00 – ISBN: 9788898067022

«Respiravo con il tuo ritmo, volevo cogliere il tuo ultimo respiro, sapevo che quello era mio, volevo esserci a rimetterti idealmente dentro di me, come un alito vitale, un parto alla rovescia».

Un libro a quattro mani, madre e figlia che nel loro viversi quotidiano scendono a patti con il dolore. Fermano ogni momento di un lungo percorso in cui morte e vita si alternano tra speranze e disillusioni, luci e abissi, volti, incontri, viaggi, sorrisi, amore e lacrime.

Precipita il respiro nel leggere in un orrido oscuro dove il dolore alcune volte perde la dimensione umana del sopportare e diventa urlo e lacerazione; parole di sguardi complici di madre e figlia che sanno ma comunque sperano e nella speranza riescono a godere di nuove nascite, di amici sinceri, di gesti d’amore come quelli dei nonni di Corinna e con forza abbattono muri di indifferenza, medici dubbiosi, la burocrazia che annienta la persona. Spesso ci coglie la dolcezza con quale Lucia e Corinna vengono accolte nelle cliniche, nelle lunghe ospedalizzazioni per ritrovarsi poi a girare nelle bellezze di Parigi e trovarci la loro anima, il pulsare dei loro corpi negli abbracci che ricostituiscono sempre nuove parole da confidarsi e scrivere insieme nella ballata a più voci fissata sulla pagina come un lacerto di pelle salvato ad un saccheggio profanatore. Alle immagini rapide, confuse, poco personalizzate delle stanzette d’ospedale, il viaggiare, vedere le bellezze delle città lo colgo intensamente nell’anima come una ballata, di figure leggere che sembrano volare sopra il dolore che alita vita negli incontri con i fratelli, nella casa che Corinna ama, nei giochi con i fratelli, nell’amore per suo padre, nella figura dolcissima di suo marito mai assente. Spesso in disparte però come volesse essere chiamato. «la tua vita scorre, Corri più veloce che puoi, metti le ali ai tuoi piedi e assapora il tuo momento. Sfuggi al bombardamento degli eventi. La tua vita corre, la tua vita rotola, corri avanti e tendi le mani. Afferra più felicità che puoi, non lasciarla andar via».

Lo scritto nelle due grafie di madre e figlia scorrono, fermano, narrano la vita di entrambe a cui si lega in ogni parola la forza di entrambe davanti a un’altalena continua di cadute e risalite, pensieri bambini, adolescenti, di giovane donna e moglie innamorata, della mamma che tenta di distrarre il dolore con la vita di ogni giorno cercandone ipotesi di futuro e di sempre più forte empaticità con Corinna.

«Anche in questo ospedale mi salassano con una certa frequenza e mi torturano inutilmente, tenendomi ferma in più persone». «Andiamo ad abitare in una piccola casa a 5 km da Montieri […] la casa è piccola ma accogliente e io dormo con mamma e quindi la notte non ho paura» e la gatta Stellina «l’amo pazzamente, la coccolo, la bacio e la vesto con le magliette dei miei bambolotti […] quando parto per Parigi e gli altri viaggi in cui non so mai la data del ritorno, abbraccio forte la mia gatta e piango perché non voglio lasciarla». «altre corse in ospedale, altri mesi di permanenza in una Parigi splendida […] il lento scorrere della Senna scandiva il nostro vivere e il nostro soffrire». Una Parigi che si teme e si ama nei suoi colori autunnali, nelle luci dei ristoranti, nelle cose ai grandi magazzini, città vissuta nel turbinio delle «passioni» di Lucia e Corinna che viene a significare a mio avviso il paradigma di duplicità che spesso la vita offrea chi ha la forza di viverne gli opposti di dolore e gioia.

E gli incontri, che credo costituiscano il filo rosso del testo. Quelli per primi con i nonni, le amiche che la seguiranno per tutta la sua breve vita, il marito, i genitori. «E la sua bocca si riempiva della parola mamma», il personale ospedaliero, medici attenti, infermiere complici e ricche di partecipazione vedono anche il loro contrario in dottori dubbiosi e poco competenti, in personale assuefatto al dolore, in un odore persistente di urina e dolore, nei monatti che vorrebbero portarla via dopo l’ultimo respiro. È una scrittura che diventa responsabile e connotativa di una vita che fatica a lottare mentre scorre impetuosa e urlata e sognata, tenace nel lascito a noi lettori di un testamento d’amore.

Nella rivista «Chiaroscuro» (16 maggio 2012), dedicata alla vicenda di Eluana Englaro, Lucia Genga scriveva: «Io lottavo per la vita di mia figlia e tu, Beppino, per la sua morte ma lottavamo per la stessa cosa: per difendere il diritto alla vita che è anche diritto di morire. È una battaglia che ci ha logorati e, allo stesso tempo, reso più forti».

E sarà proprio Beppino Englaro a dar voce a La ballata di Corinna, «ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire ma il morire è l’ultima speranza [ […]] ci vuole un grande coraggio e una straordinaria fermezza per giungere fino in fondo da soli, togliendosi la corazza e presentandosi nudi e umani alla meta».

Una straordinaria consonanza che qualsiasi parola sarebbe insufficiente a significare, da leggere in un silenzio che come la vita dovrebbe, ci consegna puro il respiro e la forza d’amare.