Le scarpette rosse è, dopo Il sette bello che già possiamo leggere in questa biblioteca Manuzio, il secondo “giallo” di Alessandro Varaldo incentrato sulla figura del commissario Ascanio Bonichi. Anche in questa seconda inchiesta compare l’investigatore privato Gino Arrighi che già abbiamo visto coadiuvare Bonichi in Il sette bello. Arrighi assume però in questo caso un ruolo decisamente più centrale. Il delitto del quale va ricercato il colpevole è questa volta il furto di una valigetta contenente gioielli di grandissimo valore. Il furto è perpetrato in un grande albergo a Milano ma l’azione si sposta a Roma in seguito alla precipitosa fuga di quello che diventa ovviamente il maggiore indiziato. Per questa ragione Bonichi da Milano – dove era stato promosso vice-questore in seguito alla brillante soluzione del caso precedente – coinvolge dapprima Arrighi che è a Roma e si sposta a Roma lui stesso. Il finale, con il disvelamento di ogni aspetto misterioso degli accadimenti, si sposta nuovamente a Milano. Arrighi è adesso pienamente coinvolto nel considerare il “caso” – così come abbiamo visto teorizzare da Bonichi nel precedente romanzo – come strumento principe per far incastrare ogni pezzo del rompicapo al suo posto, ma non disdegna, con l’approvazione compiaciuta di Bonichi stesso, di rifarsi a Freud e di valutare attentamente le conseguenze del sonnambulismo e dell’ipnosi e autoipnosi. In questo modo può audacemente giocare le proprie carte e sciogliere l’enigma.

Protagoniste indiscusse, come da titolo, un paio di eleganti scarpette rosse; dapprima ai piedi di una splendida e ricca ragazza biancovestita – che presto sarà costretta a fare i conti con la necessità di condurre una vita più modesta – finiscono poi una sul tetto di un ascensore d’albergo compromettendone il funzionamento e l’altra a fare da bizzarro astuccio a un bellissimo e costosissimo gioiello con smeraldo.

La scrittura di Varaldo si compiace, come di solito, di abbinare episodi insoliti e coincidenze strabilianti con un linguaggio in sintonia, ricco di termini altrettanto insoliti, esotici e di stranierismi italianizzati. Risente in questo dell’inclinazione dell’autore verso il romanzo ottocentesco. Tra tutti scegliamo l’esempio del “palikaro”, termine con il quale è definito Archibaldo Riccoboni, intendente della contessa Mariella di sant’Agata, a causa dei suoi baffoni, simili appunto a quelli che caratterizzavano i combattenti delle guerre d’indipendenza greche, i palikari appunto. Ma anche l’uso del dialetto: quello napoletano della suddetta contessa, donna simpatica, di cuore e amabilissima, o il romanesco italianizzato della sora Settimia, titolare della pensione Nereide, presso la quale alloggia Arrighi, e di Annarella, domestica nella suddetta pensione.

Il libro scritto nel 1931 fu dato alle stampe nel 1932 ed è interessante notare come, in quegli anni, fosse ancora possibile esercitare garbata ironia nei confronti delle forze dell’ordine:

«la vera polizia è naturalmente gelosa, come lo sono per lo piú coloro che lavorano senza entusiasmo né vocazione […] quanta povera gente di stretto cervello, di breve educazione, che tira lo stipendio e lascia campare! E quanti che aspirano a far carriera e quindi vogliono farsi del merito a qualunque costo, supponenti prepotenti azzardosi e incaponiti spesso nell’errore!».

I Bonichi nell’italica polizia sembrano quindi ridursi a una esigua minoranza… ed è precaria in genere la fiducia nelle istituzioni, per esempio nella magistratura:

«la magistratura è la scienza e la polizia è il buon senso. E il buon senso non deve passar la mano alla scienza, che quando c’è costretto.»

Da queste considerazioni nasce l’accordo tra Bonichi e Arrighi, quasi che la scelta di Bonichi di avvalersi del collaboratore e amico sia il mezzo per aggirare le forti limitazioni che si trova a fronteggiare nel suo lavoro. Arrighi nel suo ruolo di investigatore privato può permettersi più spregiudicatezza e anche per le spese affrontate è più disinvolto (prende il taxi, mentre Bonichi ricorre ai mezzi pubblici). Anche se le spese più grosse verranno affrontate grazie all’intervento della Contessa Mariella. Anche in questo ambito non manca la frecciatina, e Bonichi parlando dell’albergo romano nel quale ha fissato la propria residenza per l’indagine dice:

«prevedo che due terzi delle spese saranno a mio carico, perché l’Amministrazione dell’Interno arriccierà il naso.»

Se uniamo a questo fatto – che fa vacillare l’immagine di grandiosa perfezione delle forze dell’ordine e delle istituzioni proposta dalla propaganda fascista – l’uso dei termini stranieri e dialettali, tutte cose particolarmente invise al regime, possiamo quasi inserire questo “giallo” tra i libri più sovversivi che il fascismo nel pieno del suo potere potesse ammettere. Vedremo nei successivi gialli di Varaldo l’evoluzione della sua scrittura anche sotto questi aspetti.

Sullo sfondo ci sono poi le storie d’amore tra Arrighi e la sorella del maggiore indiziato, nonché quella tra lo stesso indiziato e la proprietaria delle scarpette rosse. E questo serve a rendere più congeniale il fluire della narrazione alle inclinazioni per l’intreccio, avventuroso certamente ma a tinte rosa, dello scrittore ligure.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Fu in questo modo che le scarpette rosse entrarono di colpo, ma risolutamente, nella vita di Virgilio Morandi, giovane signore senza professione, quantunque dottore in legge. Ed anche di alcune altre persone.
Scendeva un giorno, soleggiato giorno autunnale, come ne conta Roma con prodiga letizia, la via Veneto, roteando il bastoncino di malacca rigato in cima e in fondo, appena, da un tallone di madreperla, quando una magnifica automobile, velocemente oltrepassandolo, gli tagliò la strada.
— Bel modo! – esclamò.
E, poiché la vettura s’era fermata dinanzi ad una pasticceria, affrettò il passo per sapere chi fosse il malaccorto conducente, che s’infischiava con tanta spensieratezza, del codice della strada.
E vide una bella gamba calzata di rosa e una scarpetta rossa apparire dallo sportello aperto, e poi, d’un tratto, una persona armonica restare un attimo immobile, quasi offrendosi all’ammirazione. C’era di che.
Figuratevi un’alta e sottile figura di donna tutta vestita di bianco, feltro e abito, calze d’un rosa leggero, scarpette e borsetta rosse.
Si guardò intorno, con aria lontana e assonnata, e Virgilio scoprí due puri occhi celesti e una piccola bocca dal vivo carmino.

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