Pubblicato nel 1913 (qui si propone la ristampa del 1919) questa raccolta di racconti appartiene senza alcun dubbio alla letteratura patriottica.

Beltramelli, già affermato autore di novelle e romanzi ed avventuroso giornalista, partecipò come corrispondente alla guerra di Libia (1911 – 1912), che vide affrontarsi il Regno d’Italia e l’Impero ottomano. La guerra italo-turca, nota anche come Campagna di Libia, era stata voluta – presidente del Consiglio per la quarta volta Giovanni Giolitti – per la conquista della Tripolitania e della Cirenaica, nel nord Africa, per tentare di dar vita alla prima colonia italiana. L’Italia “impaurita dalle sue ultime disfatte sul campo di battaglia, sbigottita dal disastro di Lissa” con questa guerra e con questa conquista cercava un riscatto.

Come suggerisce il titolo, la raccolta, che l’autore dedica con affetto al padre, è incentrata esclusivamente su questa guerra. Beltramelli, condividendo il pensiero del padre – che aveva avuto la ‘fortuna’ di cimentarsi sui campi di Curtatone e di Custoza –, parte dall’assunto che sia sempre necessario guardare al futuro ma senza dimenticare il nostro passato. È questo lo scopo di questi racconti: ricordare, ricordare l’eroismo dei combattenti italiani in Libia, ricordare il loro sprezzo della morte davanti al bene della patria, ricordare le donne, le vedove, le madri private dei figli ma fiere dell’eroismo di questi… perché non si muore veramente quando si muore da eroi. Donne il cui vestiario è sempre ammantato da uno scialle nero.

Beltramelli esalta l’entusiasmo che negli italiani seppe infondere Gabriele D’Annunzio: “Sentivano la grande voce della Patria attraverso l’anima del suo Poeta.” Il poeta infatti scrisse, a sostegno di questa guerra, vari articoli apparsi in particolare sul “Corriere della Sera” e versi raccolti poi nel volume Merope. Canti della guerra d’oltremare (1912, ma edita nel 1915).

Lo stile delle novelle di Beltramelli è intimamente dannunziano, rafforzato da inflessioni e cadenze decisamente e rudemente romagnole, del tutto famigliari all’autore. I personaggi sono scolpiti con l’accetta piuttosto che descritti con la penna e ricordano certe figure di Mario Sironi come quelle ritratte nell’affresco L’Italia tra le Arti e le Scienze (1935) nell’Aula Magna dell’Università degli studi La Sapienza di Roma.

Dai racconti emerge un’Italia irrimediabilmente patriarcale, conservatrice, nella quale il diverso sentire dei giovani è visto con fastidio e che gli anziani leggono solo come espressione di “un egoismo meschino che nulla vedeva più in là del proprio tornaconto.” L’unica cura di questo male è, come dichiarato nella prima novella La scuola degli uomini, andare in guerra, combattere, possibilmente morire e diventare eroi, riscattando l’onore della Patria e di sé stessi. A nulla vale l’obiezione, del giovane nipote richiamato alle armi:

«‒ È una guerra ingiusta!… Io non mi sento di andare ad ammazzar gli altri in casa loro.»

Dir questo è mostrare la propria vigliaccheria:

«Essendo scomparsa dalla sua angusta concezione morale, ogni idea di patria e di grandezza, avversava le istituzioni militari come quelle che perpetuavano uno stato di barbarie e si opponevano più fieramente all’attuazione de’ suoi ideali.»

Sparsi qua e là nelle varie novelle troviamo, ben disegnati, personaggi più umani, meno eroici, persone qualunque, comprimari che riempiono gli spazi più nascosti della narrazione eroica. Così le tre amiche ben anziane, in Le nonne, le cui giornate sono scandite delle chiacchiere e dalle preghiere in chiesa e che riacquistano giovinezza e un senso della vita quando il nipote di una di queste torna vittorioso dalla guerra; così sono anche in tante altre novelle (L’agguato, I superstiti, L’insidia, Il Rosso) le figure dei soldati semplici, degli attendenti premurosi, di quelli che nella loro umiltà di contadini o di operai d’ogni parte d’Italia vedono nel loro comandante il Dio e nella bandiera, da difendere ad ogni costo, la Patria.

La vela nera racconta di una spedizione notturna per mare, partita da uno dei tanti paesi italiani con il porto-canale del nord ovest dell’Adriatico, per permettere a un padre e ai suoi figli di recuperare il corpo del figlio maggiore barbaramente ucciso e seppellito in un paese tra Parga e Prevesa, sulla costa dell’Epiro. L’atmosfera di questo racconto, completamente avvolta dal buio della notte stellata, dallo sciabordare della tartana sull’acqua, dalla paura e insieme dalla determinazione che accompagna l’impresa, è particolarmente suggestiva. Si troverà un’atmosfera altrettanto emozionante in La guerra d’Italia. Sui monti, nel cielo e nel mare (1917) di Luigi Barzini, già presente in Liber Liber, dove però si tratta di sommergibili e di episodi in mare della Grande guerra.

In Pietro Aresu è la seconda volta che compare un accenno al dissenso alla guerra di cui abbiamo già visto traccia in La scuola degli uomini; per il resto il copione dell’eroismo dei giovani e del sacrificio rimane coerente.

Alcune delle novelle regalano, pur offuscate dagli orrori della guerra, descrizioni inebrianti dei luoghi africani, pieni di fascino e di mistero, per la natura esotica, per le notti stellate, per lo sconfinato deserto.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit del libro:

Cominciammo con uomini che si avventuravano soli per le terre dell’Africa oscura, soli ed indifesi ma temprati al sacrificio e alla morte per condurre innanzi con la loro volontà il Destino della patria.
Morirono disperando. Non seppero e non videro forse che una generazione non lontana avrebbe raccolto i loro nomi per iscriverli nel martirologio della stirpe. Forse giacciono tuttavia lungo le piste carovaniere, pei deserti.
Pellegrino Matteucci, Antonio Cecchi, Giulietti, Bisleri, Chiarini, Bianchi, Diana, Monari: ecco i pionieri autoctoni.
La giovinezza del popolo andava innanzi a loro; la fatalità di un disegno storico li sospingeva al sacrificio. Morirono e lo squallore delle anime non seppe la bellezza e la grandezza del toro gesto. La trepidante ansia dei governanti deprecò la loro morte. Non si voleva agire. L’Italia, bollata dalla secolare servitù, impaurita dalle sue ultime disfatte sul campo di battaglia, sbigottita dal disastro di Lissa che era, nei secoli, la sua prima pagina ingloriosa sul mare, era renitente al suo Destino, si umiliava per non seguir la sua via. Non ardì quand’era tempo, non si rimosse quando altri le apriva la strada, si condusse da schiava ne’ suoi rapporti con le Nazioni, volle passar come l’ombra, essere nulla e nessuno per non trovarsi di fronte al pericolo e vi riuscì. Si salvò perchè necessaria ad un equilibrio di forze, ma l’anima sua si immiseriva sempre più. Ebbe uomini d’accatto che per la loro timidezza politica le tolsero anche l’ultima dignità. Cadde in dispregio. Le sue glorie nazionali si offuscarono. Ma il fato la premeva e dovette ubbidirgli.

Scarica gratis: Le novelle della guerra di Antonio Beltramelli.