di
Le mille e una notte
Novelle arabe

Storia del quinto fratello dalle orecchie tagliate

tempo di lettura: 12 minuti


Alnascar, finché visse nostro padre, se ne stette neghittoso. Invece di lavorare per guadagnarsi il vitto, non aveva rossore di chiedere l’elemosina. Nostro padre morì carico di anni, lasciandoci tutto il suo avere, cioè 700 dramme di argento. Le dividemmo in parti uguali fra noi. Alnascar, il quale non aveva mai posseduto tanto danaro in una volta, si trovò molto imbarazzato per sapere come lo impiegherebbe. Si consigliò lungo tempo da sé stesso su tale proposito, e risolse finalmente d’impiegarlo in tanti vetri, che andò a comprare.

Pose egli il tutto in una gran cesta, e scelse una picciola bottega, ove s’assise tenendo la cesta davanti a sé, e la schiena appoggiata al muro, aspettando l’arrivo degli avventori.

In quella positura, tenendo gli occhi fermi sopra il suo canestro, si pose a pensare, e immerso in questo pensiero pronunciò le seguenti parole ad alta voce, per essere udito da un sarto a lui vicino.

— Questo canestro – disse – mi costa cento dramme: cioè quanto io mi ritrovo avere in questo mondo. Io benissimo ne ritrarrò duecento dramme, che di nuovo impiegherò in vetri, e ne ricaverò quattrocento. In tal maniera continuando, in progresso di tempo radunerò quattromila dramme. Di quattromila dramme con facilità ne farò fino ad ottomila. Quando ne avrò diecimila, abbandonerò subito la mercanzia dei vetri per farmi gioielliere. Negozierò in diamanti, in perle, in ogni sorta di gioie. Possedendo allora ricchezze a seconda delle mie brame, comprerò un palazzo, molti campi e terre, schiavi, eunuchi e cavalli, farò banchetti e grande strepito nel mondo. Introdurrò in mia casa quanti suonatori vi saranno nella città, ballerini e ballerine. Non mi contenterò di tutto questo, e radunerò fino a centomila dramme. Quando mi vedrò ricco di centomila dramme, mi reputerò uguale ad un principe e manderò a chiedere in matrimonio la figlia del gran Visir, facendo dire a quel ministro, aver io udite meraviglie della bellezza, della saviezza, dello spirito e delle altre qualità tutte di sua figlia ed essere io pronto a sborsargli mille pezzi d’oro per le nostre nozze.

— Dopo la cerimonia delle nostre nozze – continuò Alnascar – prenderò dalle mani d’un mio famigliare, a me vicino, una borsa di cinquecento pezzi d’oro, che distribuirò alle paraninfe perché mi lascino solo con la mia sposa. Quando si saranno ritirate, mia moglie si coricherà la prima, io mi coricherò in seguito vicino ad essa colle spalle voltate, e passerò la notte senza dirle una parola. L’indomani ella non mancherà di lagnarsi della mia indifferenza e del mio orgoglio alla madre, moglie del gran Visir, del che avrò grandissima gioia. Sua madre verrà a trovarmi, mi bacierà le mani con rispetto e mi dirà:

— Signore – perché non oserà chiamarmi suo genero per timore di dispiacermi, parlandomi tanto famigliarmente – vi prego di non isdegnar di guardare mia figlia e di avvicinarvela.

— Simile discorso non mi commuoverà punto, e la mia suocera, ciò vedendo, prenderà un bicchier di vino, e dandolo in mano alla cara figliuola mia sposa:

— Andate – le dirà – presentategli voi stessa questo bicchier di vino, egli non avrà forse la crudeltà di rifiutarlo da così bella mano.

— Mia moglie verrà col bicchiere, restando in piedi tutta tremante innanzi a me. Quando vedrà che io non volgerò affatto lo sguardo dal suo lato, e che persisterò a spregiarla, mi dirà:

— Mio cuore, anima mia, mio amabile signore, vi scongiuro pei favori di cui il cielo vi colma, di farmi la grazia di ricevere questo bicchiere di vino dalla mano della vostra umilissima serva!

— Allora stancato dalle sue preghiere le lancerò uno sguardo terribile, dandole un solenne schiaffo sulla guancia, e spingendola col piede sì vigorosamente da mandarla a cadere oltre il sofà…

Mio fratello era talmente immerso in quelle visioni chimeriche, che accompagnò l’azione col piede, e disgraziatamente ruppe tutti i suoi vetri. Il sarto suo vicino, il quale aveva udito la stravaganza del suo discorso, diede in uno scroscio di risa quando vide cadere il paniere dicendogli:

— Uomo iniquo, dovresti morir di vergogna nel maltrattare una giovine sposa, la quale non t’ha dato nessuna cagione di lagnarti di essa. Sei ben brutale per dispregiare le lacrime e le attrattive di sì amabile creatura. Se io fossi in luogo del gran Visir tuo suocero, ti farei dare cento colpi di staffile, e passeggiare per la città con l’elogio che meriti.

Mio fratello, a simile accidente, rientrò in sé stesso, e vedendo essergli ciò avvenuto pel suo insopportabile orgoglio, si batté il volto, si lacerò gli abiti e si pose a piangere in modo da far radunare intorno a sé i vicini e quelli che di là passavano per andare alla preghiera del mezzodì.

Intanto la vanità gli si era dissipata insieme al suo patrimonio, e piangeva ancora il suo destino, quando una signora di considerazione, salita sur una mula riccamente bordata, passava per di là.

Lo stato in cui vide mio fratello la commosse, e domandò chi egli era e la sua sciagura.

Le si rispose solamente essere un povero uomo il quale aveva impiegato tutto il suo scarso avere alla compra d’un paniere di vetrerie, e queste essendo cadute e rottesi non possedea più nulla.

Immantinente la signora si volse ad un eunuco da cui era accompagnata e disse:

— Datogli quanto avete sopra di voi.

L’eunuco obbedì, e pose in mano a mio fratello cinquecento pezzi d’oro.

Alnascar credé morire dalla gioia ricevendo tal somma. Diede mille benedizioni alla signora e dopo aver chiusa la sua bottega, dove la sua presenza non era più necessaria, se ne andò a casa.

Egli faceva profonde riflessioni sul grande benefizio ricevuto, quando sentì picchiare alla sua porta.

Prima di aprire domandò chi fosse ed avendo riconosciuto essere una donna aprì.

— Figliuol mio – gli disse colei – debbo chiedervi una grazia; essendo ora il tempo della preghiera, vorrei lavarmi per essere in istato di farla. Lasciatemi, se vi piace, entrare in casa vostra, e datemi un vaso d’acqua.

Mio fratello non tralasciò di accordarle quanto domandava. Le diede un vaso pieno d’acqua: poscia, riprendendo il suo posto e sempre occupato della sua avventura, mise l’oro in una specie di borsa, atta a portarsi alla cintura.

Intanto la vecchia fece la sua preghiera, e poscia s’avvicinò a mio fratello prostrandoglisi, e due volte battendo la terra colla sua fronte come se avesse voluto pregar Dio; indi, rialzatasi, augurò ogni specie di bene a mio fratello ringraziandolo della sua bontà.

Siccome era vestita poveramente e si umiliava moltissimo innanzi a lui, pensò che gli dimandasse l’elemosina, presentolle due pezzi d’oro. La vecchia retrocedette con sorpresa, come se mio fratello le avesse arrecato un’ingiuria.

— Gran Dio – gli disse – che vuol dir ciò? Mi prendete forse per una di quelle miserabili le quali entrano audacemente in casa altrui per chiedere l’elemosina? Ripigliatevi il vostro denaro, perché io non ho bisogno grazie al cielo. Appartengo ad una giovine signora di questa città, che non mi lascia mancar nulla.

Mio fratello le chiese se poteva procurargli l’onore di vedere quella signorina.

— Molto volentieri – gli rispose – le sarà molto a grado lo sposarvi e mettervi in possesso di tutti i suoi beni facendovi signore di lei. Prendete il vostro danaro e seguitemi.

Rapito d’aver trovato una gran somma di danaro, e insieme una donna bella e ricca, non considerò null’altro. Egli prese i cinquecento pezzi d’oro, e si lasciò condurre dalla vecchia. Essa camminò avanti ed egli la seguì da lontano fino alla porta di una gran casa. La vecchia lo fece entrare per il primo, e dopo avergli fatto attraversare una corte, l’introdusse in una camera.

Mentre la vecchia andò ad avvertire la signora, egli si assise, e sentendo caldo si levò il turbante e se lo mise vicino.

Poco dopo vide entrare la giovine signora. Egli si alzò per riceverla; la signora gli si assise vicino, dimostrandogli molta gioia nel vederlo.

— Noi non siamo qui molto comodamente – soggiunse – venite, datemi la mano.

Ciò detto gli presentò la sua e lo condusse in una camera remota, ove conversò ancora qualche tempo con lui, poi lo lasciò, dicendogli: – Aspettatemi, or ora vengo.

Egli attese, ma invece della dama venne uno schiavo nero colla sciabola in mano.

— Che fai tu qui? – disse a mio fratello.

Alnascar al suo aspetto fu talmente preso dallo spavento che non ebbe forza di rispondergli.

Lo schiavo lo spogliò, gli tolse l’oro, e gli diede diversi colpi di sciabola sulle spalle e gli tagliò le orecchie.

Lo sciagurato cadde per terra, ove restò senza moto. Il nero credendolo morto, chiese del sale: la schiava greca ne portò pieno un bacile con cui fregarono le piaghe di mio fratello, il quale ebbe la costanza, ad onta delle sue ferite, di non dar segni di vita.

Il nero e la schiava greca essendosi ritirati, la vecchia che lo aveva condotto a sì mal partito venne a prenderlo pei piedi e lo trascinò fino ad una botola: l’aprì e ve lo gettò dentro, ove si trovò in un luogo sotterraneo con diversi corpi di persone state assassinate. Il sale di cui erano state fregate le sue piaghe, gli aveva conservata la vita.

Riprese a poco a poco forza abbastanza per sostenersi, e a capo di due giorni, avendo aperto la botola durante la notte, ed avendo osservato nella corte un luogo proprio a nascondersi, vi stette fino allo spuntar del giorno.

Allora vide comparire la detestabile vecchia, la quale aprì la porta della strada e partì per andare in cerca di altra preda. Perché essa non lo vedesse non uscì dal suo nascondiglio se non alcuni momenti dopo di lei, e venne a rifugiarsi da me, raccontandomi tutte le avventure accadutegli in sì poco tempo.

A capo di un mese guarì perfettamente delle sue ferite pe’ grandi rimedi da me somministratigli.

Egli risolse di vendicarsi della vecchia e a tal uopo fece una borsa assai grande per contenere cinquecento pezzi d’oro e invece di oro la riempì di pezzi di vetro; s’attaccò il sacco intorno alla cintura, si vestì da vecchia, e prese una sciabola, che ebbe cura di nascondere sotto la sua veste.

Un mattino incontrò la vecchia che passeggiava per la città, cercando l’occasione di fare un cattivo giuoco a qualcuno.

Egli le si avvicinò contraffacendo la voce di una donna:

— Non avreste – le disse – un saggiuolo da prestarmi? Sono una persiana da poco qui giunta. Ho portato dal mio paese cinquecento pezzi d’oro, vorrei vedere il loro peso.

— Buona donna – gli rispose la vecchia – non potevate rivolgervi meglio. Seguitemi, vi condurrò da mio figlio il quale è cambiovalute, egli vi farà il piacere di pesarveli: ma non perdiamo tempo, affinché lo troviamo prima che vada alla sua bottega.

Mio fratello la seguì fino alla casa dove l’aveva introdotto la prima volta, e la porta fu aperta dalla schiava greca.

La vecchia menò mio fratello in una camera, dove lo fece attendere un momento, mentre andò a chiamare il figliuolo.

Il preteso figliuolo venne, sotto la forma dell’infame schiavo nero:

— Maledetta vecchia – disse a mio fratello – alzati e seguimi!

Ciò detto, camminò avanti per condurlo al luogo dove voleva assassinarlo. Alnascar si alzò, lo seguì e tirando la sciabola di sotto la sua veste, gliela scaricò di dietro sì dritta sul collo, che gli tagliò la testa.

Egli la prese con una mano, e coll’altra trascinò il cadavere fino al sotterraneo, dove lo gettò insieme alla testa.

La schiava greca, accostumata a tali operazioni, venne ben presto col bacino di sale: ma quando vide Alnascar colla sciabola in mano, lasciò cadere il bacino e se ne fuggì: ma mio fratello, correndo più sollecito di lei, la raggiunse, e le fe’ volare la testa di sopra le spalle. L’iniqua vecchia accorse al rumore, ed egli se ne impadronì prima che avesse il tempo di sfuggirgli.

— Perfida! – esclamò – mi riconosci tu? Io sono colui presso il quale entrasti or fa un mese per lavarti e fare la tua preghiera d’ipocrita; te ne sovviene?

Allora quella s’inginocchiò per chiedere perdono: ma egli la fece in quattro pezzi.

Non restava altri se non la signora, la quale non sapeva nulla di quanto avveniva in sua casa. Mio fratello la cercò e trovolla in una camera, dove quasi svenne al vederlo comparire.

— Signora – le disse – come potete vivere con persone sì inique come quelle di cui mi son vendicato così giustamente?

— Io era – gli rispose colei – moglie di un onesto mercante e la maledetta vecchia, di cui non conosceva affatto la nequizia, veniva a vedermi qualche volta.

— Signora – mi disse un giorno – noi abbiamo nozze a casa nostra e mi fareste gran piacere se mi volete far l’onore di venirvi.

Io mi lasciai persuadere, e prendendo il mio più bell’abito con una borsa di cento pezzi d’oro, la seguii.

Ella mi condusse in questa casa, dove trovai questo moro il quale mi tenne per forza tre anni, con mio gran dolore.

— Nella maniera con cui questo detestabile moro si governava – riprese mio fratello – avrà accumulato senza dubbio grandi ricchezze.

— Ve ne ha tante – soggiunse quella – che diverrete ricco per sempre, se potete portarle con voi; seguitemi e le vedrete.

E condusse Alnascar in una camera, dove gli fece vedere effettivamente diversi forzieri pieni d’oro.

— Andate – gli disse la signora – e conducete molta gente per portar via tutto ciò.

Mio fratello non se lo fece dire due volte, uscì, e non istette fuori se non quanto gli fu d’uopo per riunire dieci uomini. Li condusse seco, e giungendo alla casa fu meravigliatissimo di trovare la porta aperta: ma lo fu molto più quando entrato nella camera dove aveva veduti i forzieri, non ne trovò nemmeno uno.

La signora, più astuta e più diligente di lui, ne li aveva fatti levare ed era sparita anch’essa. In difetto dei forzieri, e per non ritornarsene colle mani vuote, fece portar via quante suppellettili v’erano nelle camere e nella guardaroba.

Ma uscendo dalla casa dimenticossi di chiudere la porta. I vicini che avevano riconosciuto mio fratello, e veduto i facchini andare e venire, corsero ad avvertire il giudice di polizia, di questo sgombero, a loro sembrato sospetto.

Alnascar passò la notte tranquillamente, ma all’indomani all’uscir di sua casa trovò venti uomini delle genti del giudice di polizia i quali s’impadronirono di lui, dicendogli:

— Venite con noi, il nostro signore vuol parlarvi! Quando le guardie ebbero condotto mio fratello inanzi al giudice di polizia, questo magistrato gli disse:

— Dove avete prese le suppellettili fatte portare ieri in casa vostra?

— Signore – rispose Alnascar – io son pronto a dirvi la verità.

Allora mio fratello gli narrò sinceramente quanto gli era avvenuto. Il giudice senza nulla promettere a mio fratello mandò in casa sua alcune delle sue genti per portar via quanto vi era, e quando gli fu detto non rimanervi più niente, e trovarsi ogni cosa nella sua guardaroba, egli comandò a mio fratello di uscire al momento dalla città e di non ritornarvi mai più.

Alnascar obbedì all’ordine senza dir nulla ed uscì dalla città per rifuggiarsi in un’altra.

Per la strada fu incontrato da’ ladri che lo spogliarono, lasciandolo nudo come la mano.

Non appena seppi questa sciagurata notizia, presi un abito andando a trovarlo dov’era. Dopo averlo consolato il meglio che potei, lo ricondussi e lo feci rientrare segretamente nella città, dove n’ebbi altrettanta cura, quanta degli altri suoi fratelli.

Continua…


Troverai tanti altri racconti da leggere nella Mediateca di Pagina Tre (clicca qui!)


Liber Liber

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamo realizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione integrale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, video e tanto altro: https://www.liberliber.it/.

Fai una donazione

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri. Fai una donazione: https://www.liberliber.it/online/aiuta/.


QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia del quinto fratello dalle orecchie tagliate

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Le mille e una notte : novelle arabe. - Milano : Bietti, [1934]. - 541 p. : ill. ; 19 cm.

SOGGETTO:
FICTION PER RAGAZZI / Fantasy e Magia
FICTION PER RAGAZZI / Leggende, Miti, Fiabe / Generale