Concepito inizialmente come novella da inserire negli Anni di Peregrinazione di Wilhelm Meister, ebbe poi forma di romanzo a sé stante, scritto in due riprese, tra aprile-luglio 1808 e aprile-agosto-1809 e pubblicato nell’ottobre del 1809. È frutto della piena maturità di Goethe, e al suo apparire destò un vero e diffuso sconcerto. C’è chi vi ha visto una decisa messa sotto accusa del matrimonio, che può apparire nelle pagine del romanzo come gabbia e tortura morale, ma c’è anche chi ha visto invece all’opposto una mistica esaltazione del sacramento, un elemento tale di civiltà da dovergli dedicare qualunque sacrificio pur di essere mantenuto inviolabile.

Io credo che si tratti di romanzo settecentesco sia dal punto di vista poetico che da quello formale. Non è difficile scorgerne le ascendenze francesi, da Prevost a Diderot ma anche a De Sade.

Tuttavia è giusto anche vederlo inserito nel solco spirituale del romanticismo tedesco con tutti i suoi risvolti, da quelli ascetici – il fiorire di miracoli attorno al cadavere di Ottilia – a quelli sensuali, fino agli aspetti magico-scientifici. Lo stesso titolo proviene dalla chimica. Goethe, che era uomo di scienza e che sapeva inserire magistralmente le sue riflessioni scientifiche tra i risvolti dei suoi lavori letterari, si imbatté nelle ricerche del chimico svedese T. O. Bergmann laddove parlava dell’Attractio electiva duplex e non mancò di ricercare una possibile corrispondenza tra fenomeni fisico-chimici e fenomeni psichici, in questo modo pensando e descrivendo l’attrattiva incrociata tra Edoardo-Carlotta e Ottilia-Capitano. Le creature umane sono esseri della natura e naturale è l’attitudine a separarsi per raggiungere quello che, altrove, irresistibilmente li attrae. Nelle strutture primordiali e infinitamente piccole Goethe scorge questa legge d’amore.

La vicenda vede infatti il ricco barone Edoardo finalmente sposo con l’antico amore Carlotta, dopo che i loro rispettivi percorsi matrimoniali erano stati interrotti da duplice vedovanza. L’arrivo presso la loro dimora di Ottilia – nipote di Carlotta – e del Capitano – amico d’infanzia di Edoardo – vivifica il loro andamento familiare ma presto lo turba. Edoardo si innamora di Ottilia del tutto ricambiato e Carlotta è molto attratta dal Capitano. Ma mentre i secondi sanno resistere, Edoardo e Ottilia sono invece travolti dalla passione. Nel frattempo Carlotta dà alla luce un bimbo e Edoardo partecipa ad una campagna militare con intenti quasi dichiaratamente suicidi. L’esito di tutto ciò è drammatico: Edoardo ritorna, deciso a legarsi per sempre con Ottilia, la quale però imprudentemente è causa dell’annegamento del bimbo in un laghetto. Per il rimorso e per autopunizione Ottilia si lascia morire di fame ed Edoardo le sopravviverà ben poco. Carlotta pietosamente li farà seppellire vicini. La tragedia pone in secondo piano ogni assunto morale e rimane il grido di dolore della passione oppressa e contrastata.

La maturità che Goethe raggiunge in questo romanzo è testimoniata dagli echi che ha lasciato nei traguardi letterari del novecento, configurandolo quindi come anticipatore della scrittura di Gide, Walser, Svevo, ma anche di Proust, Calvino, Kafka, Thomas Mann.

Goethe scrisse a una sua corrispondente che non approvava il romanzo: “Mi duole, ma esso è il mio libro migliore… la legge del libro è vera, il libro non è immorale. Lei lo deve considerare da un punto di vista più ampio. La consueta misura morale può in tali situazioni presentarsi come molto immorale”.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Edoardo – daremo tal nome a un ricco barone nel pieno vigore dell’età virile – aveva trascorso la piú bell’ora di un pomeriggio d’aprile nel suo vivaio a innestare su giovani fusti virgulti ricavati di fresco. L’operazione era appunto compiuta; egli ripose tutti gli ordigni nella loro custodia, e si compiaceva a osservare il proprio lavoro quando sopraggiunse il giardiniere e si rallegrò dell’interessamento e dello zelo del suo signore.
«Non hai veduto mia moglie?» chiese Edoardo, in atto di proseguire il cammino.
«Dall’altra parte, nei nuovi impianti» rispose il giardiniere. «Sarà terminata oggi la capanna rivestita di muschio che ella ha costruito presso la parete di roccia, dirimpetto al castello. È riuscita una cosa bella e piacerà certo a Vossignoria. Vi si gode un’eccellente veduta: di sotto, il villaggio, un po’ a man destra la chiesa, e lo sguardo quasi ne sorvola la punta del campanile; dirimpetto, il castello e i giardini.»
«Bene, bene» soggiunse Edoardo. «A pochi passi di qua potevo vedere la gente al lavoro…»
«Indi» proseguí il giardiniere «la valle si apre a destra, e si può guardare allegramente di là dai prati boschivi. Il sentiero che rampica su la roccia è disposto con molta grazia. La riverita signora se ne intende; si lavora con piacere sotto di lei.»
«Va da lei» disse Edoardo «e pregala di aspettarmi. Le dirai che desidero vedere la sua nuova creazione e rallegrarmene.»
Il giardiniere se ne andò lestamente, e ben presto Edoardo lo seguí.

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