Le due serie di saggi, che sono qui presentati nella prima edizione italiana del 1911, poi ristampata sempre dall’editore Laterza in anni successivi, furono pubblicate a distanza di tre anni: la prima serie nel 1841 e la seconda nel 1844. Si può seguire quindi in questi saggi l’evolvere del pensiero di Emerson da una prima fase trascendentalista a una fase dove si fa strada un quadro d’insieme che si colloca tra riflessioni etiche e idee di sempre maggior pragmatismo che saranno caratteristiche della riflessione filosofica degli anni successivi. Partiamo ad esempio dal secondo saggio della prima serie, La fiducia in se stesso; vi troviamo riassunte le idee cardine dell’individualismo democratico che sta alla base della storia della crescita economica degli Stati Uniti. Emerson opera una vera e propria sintesi tra una visione idealistica e romantica della natura con gli aspetti tipici della religiosità puritana, vale a dire gli elementi teorici caratterizzanti il bagaglio teorico e filosofico dei trascendentalisti americani.
Le risorse individuali possono esprimersi al meglio soprattutto se si è liberi da condizionamenti esteriori e seguendo l’ispirazione interiore. Il solo punto di riferimento “esterno” sarà quindi l’osservazione e la contemplazione della natura, la quale va vista, insieme alla propria interiorità, come specchio del divino. Attraverso questi saggi si può quindi seguire il distacco, di tipo illuminista, del trascendentalismo dall’unitarianesimo americano. Ph. F. Gura in The Wisdom of Words. Language, Theology and Literature in the New England Renaissance (Conn, 1981), mette in rilievo in maniera molto interessante la dipendenza della linguistica così come è sottesa all’ermeneutica unitariana, cioè la convenzionalità del linguaggio e la dicotomia tra questo e i concetti. Per la teologia unitariana «la rivelazione è più concettuale che verbale», mentre i trascendentalisti «avevano gli occhi aperti al linguaggio della corrispondenza tra natura e spirito».
Chi legge questi saggi potrà seguire fonti e sviluppi del pensiero di Emerson; la lettura è certamente più efficace di quanto potrebbe essere una qualunque sintetica riesposizione del suo pensiero. Se partiamo dal Discorso alla facoltà di Teologia – del quale ho brevemente parlato nella nota biografica di Emerson – e procediamo inoltrandoci nella lettura di questi saggi, ci rendiamo conto come il distacco dalla bibbia avvenga soprattutto attraverso un ampliamento lessicale all’interno però di un quadro di riferimento culturale e concettuale che rimane essenzialmente biblico. Questo ampliamento è il mezzo che consente ad Emerson di presentare, come espressioni diverse di una entità unica, sapienza biblica e contemplazione della Natura. Nel saggio Nature del 1836 (in questa raccolta è invece tradotto quello del 1949) Emerson indica con chiarezza gli scopi di una teoria della natura che consistono soprattutto nel riuscire a spiegare tutti i fenomeni osservabili. Ma molti, come il linguaggio, il sonno, la follia, i sogni, il sesso, sono e restano inspiegabili. In perfetta coerenza con queste ipotesi di riflessione in Super-anima leggiamo:
«Se noi consideriamo che cosa succede nella conversazione, nel rimorso, nelle ore di passione, nelle sorprese, nella formazione dei sogni, dove spesso ci vediamo trasvestiti – (gli strani trasvestimenti magnificano ed innalzano solo un elemento reale, imponendolo alla nostra attenzione) noi troveremo molti indizi che s’amplieranno e ci illumineranno nella conoscenza dei segreti della natura. Tutto tende a dimostrare che l’anima dell’uomo non è un organo, ma vita e moto per tutti gli organi; non è una funzione, come il potere della memoria, del calcolo, della comparazione, ma usa di queste funzioni come di mani e di piedi; non è una facoltà, ma una luce, non è l’intelletto o la volontà, ma quella che regge l’intelletto e la volontà; è il fondo del nostro essere, sul quale tutto giace; un’immensità infine non posseduta e che non può essere posseduta. Una luce brilla attraverso di noi sulle cose, e ci insegna che noi siamo nulla, ma che la luce è tutto.»
Leggiamo anche l’ultima parte del paragrafo di chiusura del saggio Storia:
«Più ampi e più profondi noi dobbiamo scrivere i nostri annali, partendo da una riforma etica, da un influsso della coscienza sempre rinnovata, sempre salutare, se noi vogliamo più francamente esprimere la nostra centrale natura, invece di questa vecchia cronologia di egoismo e di superbia, alla quale noi, per troppo lungo tempo, abbiamo dato i nostri occhi. Quel giorno già esiste per noi, esso brilla di già su noi, impensatamente; ma il cammino delle scienze e delle lettere non è il penetrare nella natura, ma piuttosto il partirsi da essa. L’idiota, l’indiano, il ragazzo e l’incolto fanciullo del contadino, s’avvicinano a ciò e lo comprendono molto più che non l’anatomico e l’antiquario.»
Credo di aver citato due brani emblematici di questi passi che Emerson compie dal misticismo e dall’illuminismo per giungere a quel confuso romanticismo che, per quanto così tipicamente ottocentesco e così ingenuamente ottimista, ci disegna gli aspetti dell’America stessa che su quell’ottimismo si è solidamente costituita e rafforzata. Certamente oggi se ne avvertono anche pienamente tutti i limiti. Ma Emerson resta il pensatore che più d’ogni altro ha indicato all’America una svolta decisiva per definire la propria identità e il proprio orientamento. Anche se è chiaro che questo filosofo rappresenta solo un lato di questo orientamento e poco potremmo comprendere dell’America senza conoscere Melville, Poe, Hawthorne. Ma resta il fatto che la configurazione culturale degli Stati Uniti prende le mosse proprio dalle idee che in questi saggi sono espresse, da quella “fiducia in se stessi” che ha fornito l’immagine che l’America ha voluto dare di sé al resto del mondo.
Anche se questa immagine è oggi in crisi, la sua versione ottimista appare superata, è anche tuttavia attuale se la leggiamo nell’ottica di una ripresa dell’idea individualistica e della nuova convergenza tra le parole e le cose, del tentativo di riproporre una sintesi tra pensare e agire, il tutto riproposto all’interno di un ritrovato rispetto per la natura, che possiamo consolidare e comprenderne le reali implicazioni anche riscoprendo il pensiero trascendentalista di Emerson. Scrisse S.E. Whicher in Freedom and Fate (1953) che «rigettare oggi del tutto Emerson significherebbe rigettare l’umanità stessa». L’aspetto divino che Emerson cerca nell’uomo è in realtà un dio in rovina che attende di risorgere. Se con la ragione ritroviamo la realtà, nel modo più ampio e completo possibile, la coscienza umana potrà essere testimone del mondo dello spirito e attraverso questo dell’armonioso sviluppo delle prerogative umane.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
C’è una sola mente comune a tutti gli uomini individui.
Ciascun uomo è adito ad essa ed a tutto ciò che ad essa appartiene.
Colui, che una volta è ammesso al diritto della ragione, diviene completamente libero; ciò che Platone ha pensato, egli può pensare, ciò che un santo ha sentito, egli può sentire, ciò che in ogni tempo a ciascun uomo è accaduto, egli può comprendere. Chi possiede questa universale mente partecipa di tutto ciò che è o può essere fatto, poichè questa è l’unico e sovrano agente.
La storia è il complesso delle opere della mente. Il suo genio è illustrato dall’intero svolgersi del tempo; l’uomo in nessun modo comprensibile, diviene tale per mezzo della sua storia. L’umano spirito, senza precipitazione, senza riposo, s’appresta fin dal principio a raggruppare ogni facoltà, ogni pensiero, ogni emozione che gli appartenga, intorno ad appropriati eventi. Ma il pensiero precede il fatto; tutti i fatti della storia preesistono nella mente come leggi. Ciascuna legge è a sua volta il prodotto di circostanze predominanti, ed i limiti di natura danno potere ad una sola per volta. Un uomo è l’intera enciclopedia dei fatti.
Scarica gratis: L’anima, la natura e la saggezza di Ralph Waldo Emerson.