Podcast: Apple Podcasts | RSS
(voce di SopraPensiero)Alcune delle cose che sentiamo ripetere spesso dai mezzi di comunicazione di massa sono palesemente false, lo sappiamo. Altre, invece, c’è bisogno di guardarle più da vicino per scoprirne l’infondatezza: è il caso ad esempio della cantilena per la quale la scienza sarebbe pura e disinteressata (come se non fosse fatta da uomini, basterebbe osservare), e del tutto aliena dagli interessi dell’industria. Al contrario i legami tra ricerca ed economia sono molto più antichi e solidi: lo sviluppo delle scienze bioetiche e quello del neoliberismo di stampo reaganiano, in particolare, sono nati insieme negli anni ’80 in base a una pianificazione politica deliberata. A noi, trent’anni dopo, non restano che i preoccupanti interrogativi a consuntivo di un’esperienza che ha fatto del superamento dei limiti e dei confini (primo fra tutti quello della vita, resa ormai soggetta alla proprietà e alla mercificazione) il suo vessillo: dov’è che finisce la (ri)produzione e inizia l’invenzione tecnologica? Cosa ne è qui dell’uomo? Si può brevettare la vita, e con quali conseguenze?
Melinda Cooper, ricercatrice presso l’Università di Sydney, parte dalla riflessione di Foucault sul neoliberismo e sul welfare state per mettere in luce anzitutto il rapporto delle recenti teorie neoliberali sull’accumulazione e quelle biologiche su crescita, complessità ed evoluzione; spingendosi poi a parlare di AIDS e industria farmaceutica, della bioeconomia al servizio della guerra e dell’ingegneria per la produzione di organi. Con una Prefazione della curatrice, Angela Balzano (che in più intervista l’autrice in apertura) e una Postfazione di Rosa Braidotti.
M. Cooper, La vita come plusvalore, ed. Ombre corte, 2014, pp. 155, euro 15.