(voce di SopraPensiero)

 

La narrazione, priva di un vero intreccio, si svolge nella seconda metà del XIX secolo sullo sfondo di un Nuovo Messico da poco annesso agli Stati Uniti, attraversato da turbolenti cambiamenti che vedono contrapposti gli interessi dei colonizzatori, sotto sembianze di mercanti, cacciatori, pionieri e cercatori d’oro, e quello dei nativi che difendono con pazienza e, talvolta, con disperazione la propria terra, la propria indipendenza, i propri miti.

Su questo scenario due missionari francesi, Jean-Marie Latour, il vescovo, e Joseph Vaillant suo aiutante si trovano a confrontare il significato della propria fede con un ambiente formato da villaggi dove convivono tracce di cattolicesimo spagnolo con i culti segreti di vecchi indiani e la fede “pagana” dei nomadi Navajos. Conciliante bonario e furbo padre Vaillant, intellettuale e radicale padre Latour. La narrazioni di viaggi durissimi verso villaggi lontani sembra sottolineare la consacrazione dei luoghi, fino all’edificazione della cattedrale a Santa Fé, dove nel frattempo arriva il “cavallo d’acciaio” metafora del tempo che passa e del cambiamento. Gli episodi narrati hanno come filo conduttore l’itinerare dei due. In ogni luogo dove si fa sosta le situazioni e le persone aprono orizzonti inaspettati sulle reali possibilità d’azione degli uomini nei confronti del bene e del male con sullo sfondo il momento storico confuso e travagliato del Nuovo Messico.
Al momento della sua pubblicazione (1927) questo romanzo fu un grande successo popolare. Oggi forse una scrittrice come Willa Cather si presenterebbe come troppo classica per poter rinnovare quell’interesse nei lettori. Ma resta certamente di grande fascino vedere come si staglino con grande rilievo le figure dei protagonisti su quello sfondo sterminato dove ancora si legge con precisione il significato di un paesaggio, dei fiumi, delle rocce e delle tradizioni di cui sono state scenario per secoli.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Una sera d’estate dell’anno 1848, tre cardinali e un vescovo venuto dalle missioni d’America cenavano insieme nei giardini di una villa sui monti Sabini, celebre per la stupenda vista che dalla sua terrazza si godeva su Roma. L’appartato giardino nel quale era apparecchiata la mensa per i quattro prelati, situato a sei o sette metri sotto la parte a ponente di quella terrazza, occupava un breve spiazzo di roccia, a picco su di un ripido declivio coltivato a vigneti. Una fila di gradini scavati nella pietra lo collegava con la spianata superiore. Sulla ghiaia, tra vasi di aranci e oleandri, era disposta la tavola, ombreggiata da forzuti quercus ilex, che crescevano sulle rocce sovrastanti. A chi s’affacciava alla balaustrata pareva di esser sospeso nell’aria; giù in basso, il paesaggio si stendeva dolce e ondulato, e nulla arrestava l’occhio sino a che non incontrava la città di Roma.
Era presto ancora, quando il Cardinale spagnolo e i suoi tre ospiti sedettero a cena. Il sole prometteva per lo meno un’ultima ora di supremo fulgore, e oltre la piana assolata e ondulata, dal basso profilo della città che confuso intagliava l’orizzonte, emergeva netta la cupola di San Pietro. Di un colore grigio bluastro, pareva la tesa rotondità d’un immenso pallone, e sulla liscia superficie metallica serbava un bagliore appena di rame. Era nota l’eccentrica predilezione del Cardinale per cenare a quell’ora, sul finir del pomeriggio, quando la veemenza del sole invitava piuttosto a passeggiare. Regnava una luce vivida, ricca di singolari gradazioni, una luce splendida e perfetta; intensa e soave a un tempo, essa diffondeva un rossore come di innumeri candele soffuse di un’aura di porpora fiammeggiante, e scandagliava le querce, illuminandone i tronchi color del mogano e maculandone il cupo fogliame, e rischiarava il verde vivo degli aranci e dorava il roseo degli oleandri, e faceva vibrar di complicate volute i damaschi, le argenterie e i cristalli della tavola. I prelati avevan tenuto le rettangolari berrette ecclesiastiche, onde proteggersi dal sole. I tre cardinali vestivan di nero, coi cordoncini e i bottoni cremisi; il vescovo portava una lunga tunica nera sulla sottana viola.

Scarica gratis: La morte viene per l’arcivescovo di Willa Cather.