Primo volume (di sei) di questa raccolta di saggi – apparsi tutti sulla rivista “Critica” tra il 1903 e il 1914 – che Croce volle radunare in base a una cronologia che riguarda l’epoca degli autori trattati, non la cronologia di pubblicazione dei suoi saggi. L’opera di revisione e di selezione per la presentazione in volume fu abbastanza rapida e l’autore volle eseguirla mentre le sue note su “Critica” erano ancora in corso di pubblicazione. Il primo volume fu stampato nel 1914; questo e-book è basato sull’edizione Laterza del 1973.
L’acuta sensibilità storica e artistica di Croce consente di esprimere al meglio le sue doti letterarie. Spesso il suo obiettivo appare quello di sceverare la poesia dalla «non poesia»; specialmente per mezzo della valorizzazione di un frammento: quando l’insieme di un’opera appaia strutturata non secondo una necessità espressiva, ma con l’obiettivo pratico di adeguamento a una forma o un genere già codificato, Croce estrae, ad esempio, una singola quartina da un sonetto, mettendo in rilievo come in questo frammento sia rintracciabile un’ispirazione autentica che consenta di rintracciarvi la vera poesia. Ma non si limita alla poesia (anche se di numerosi prosatori Croce pone l’accento su una limitata e marginale produzione poetica per individuare una genuinità di espressione di sentimenti e di spiritualità), e affronta con decisione anche la produzione in prosa, spesso con giudizi severi ma sempre equilibrati.
Nessun altro studioso, per altro, ha saputo trattare come Croce i più disparati campi della cultura moderna sempre con una parola autorevole e illuminante. Un’intera generazione di critici, soprattutto italiani, ha assunto le posizioni di Croce come punto di riferimento determinante; ma quello che più rimane è la sua influenza sulla media cultura, che ha assimilato le impostazioni crociane facendone spesso, come accade in mancanza di strumenti cognitivi più articolati, dei dogmi. Il suo merito – che è internazionale, i suoi saggi sono tradotti in 25 lingue tra cui russo e giapponese – è stato di mettere autorevolmente da parte una quantità di pregiudizi radicati per far risaltare invece il valore dell’arte in tutta la sua indipendenza e purezza portando alle logiche conseguenze le idee estetiche di Vico e De Sanctis.
In questo primo volume si parte dai poeti e romanzieri che ebbero la loro collocazione nelle fasi cruciali dell’epopea risorgimentale, portando la loro voce nella dinamica storica che condusse all’unità nazionale. Si tratta quindi di Prati, Aleardi, Guerrazzi, Tommaseo. Lettrici e lettori potranno trovare di grande interesse anche le apparenti digressioni poste all’interno dei singoli saggi: per esempio, trattando dei romanzi di Guerrazzi, si possono apprezzare interessanti paralleli tra l’innovazione linguistica del Guerrazzi stesso e i tentativi di padre Bresciani (il «Guerrazzi dei gesuiti» mentre «non sarebbe stato agevole suscitare un Manzoni dei gesuiti, un Leopardi dei gesuiti, un Berchet dei gesuiti.»)
Poche ed essenziali parole per inquadrare entrambi i personaggi ed individuarne insospettabili analogie al di là delle evidenti divisioni. Bresciani riappare poi nel saggio dedicato a De Sanctis dove il Croce sembra allinearsi, se mai rincrudendo ulteriormente, con le valutazioni di De Sanctis sul romanziere gesuita. Ho citato questo particolare per indicare possibili chiavi di lettura che intersecano e interconnettono tra lori i vari saggi che non sono quindi slegati e totalmente a se stanti (anche se evidentemente ognuno può essere letto per conto suo concentrandosi su un particolare autore) ma integrati in un’opera unitaria. Ugualmente è difficile sottrarsi a un discorso generale sul problema del linguaggio; tale discorso sembra introdotto nel saggio su Padula, dove Croce prende in esame le idee di quest’autore in rapporto alla scienza del linguaggio elaborata da Max Müller, e trova poi espressione più ampia nel saggio su Manzoni e la questione della lingua.
Molto interessante come, nel secondo decennio del secolo scorso, Croce abbia avuto l’intuizione e la determinazione, per esempio, di individuare nel deamicisiano Cuore – che sarebbe stato poi per quasi un secolo il simbolo della retorica piagnucolante della borghesia – il momento di passaggio dallo studio della vita borghese (di cui era esempio classico Sull’Oceano) a quello della vita popolare, che avrebbe poi trovato la sua espressione ultima in quel Primo Maggio, di cui De Amicis annunciò più volte l’imminente pubblicazione, senza che questa avvenisse. Solo postumo e molti anni dopo questo romanzo poté vedere la luce a mezzo stampa. Piccolo orgoglio del nostro progetto è che chiunque legga questi saggi di Croce potrà avere agio di consultare nella nostra biblioteca quasi tutte le opere citate, compreso il deamicisiano Primo Maggio, la cui avvenuta pubblicazione «tante volte annunziata» Croce non poté vedere.
E altri testi, anche dopo aver letto questi saggi di Croce, ci sentiamo spinti all’iniziativa di editarli nella nostra biblioteca, come ad esempio Giuseppe Aurelio Costanzo, che abbastanza impietosamente Croce definisce «poeta ridondante, valente verseggiatore come furono molti altri», forse in questo caso un poco fuorviato da una sua ottica “politica” che non gli consente di accomunare il Costanzo in un giudizio clemente come quello riservato a Prati: «quando la popolarità cominciò a disertarlo, quando la critica si venne facendo verso di lui sempre piú arcigna, quando la sua poesia non suscitò piú echi intorno[…] egli poté ritrovare nel suo animo il cantuccio dell’orgoglio, dello schietto orgoglio, e rifugiarvisi». Ma, come scrisse Giuseppe Rando, «i piccoli poeti sono spesso frustrati nella loro ingenua presunzione di grandezza», e noi possiamo trovare in ognuno di essi, anche con l’aiuto della stroncatura crociana, motivi di interesse storico e culturale.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del primo saggio Il tramonto di Giovanni Prati:
Ancora per circa un quarto di secolo sopravvisse al 1860 colui che nel ventennio precedente era stato il piú fecondo e popolare lirico d’Italia, e aveva accompagnato coi suoi canti le vicende delle lotte nazionali, e dato sfogo ai bisogni fantastici e sentimentali della generazione del Risorgimento: Giovanni Prati.
Fecondo e popolare, ma non mai salito molto alto nel giudizio dei critici, i quali, nel discorrere di lui, frammischiarono quasi sempre lodi e biasimi, e questi piú abbondanti di quelle. Pure, nonostante le restrizioni, nonostante le censure mosse ai singoli suoi lavori, nonostante i lamenti che egli non si risolvesse a entrare nella via buona, il Prati quasi per comune consenso era stimato uno dei temperamenti poetici piú ricchi che avesse mai avuto l’Italia. «Nessuno in Italia, dopo l’Ariosto (scrisse dipoi il Nencioni, echeggiando tale giudizio), è nato poeta, come il Prati; e se gli straordinari doni naturali fossero in lui sempre accompagnati dalla disciplina dell’arte, sarebbe oggi il primo lirico d’Europa.
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