L’autore di fantascienza è sensibile agli stimoli che vengono dalla società e dall’individuo e li analizza inquadrandoli alla luce dell’impatto che proviene dal progresso dovuto alla scienza – intesa nel senso il più ampio possibile, comprendendo quindi le istanze che provengono dalla sociologia e persino da certi studi teologici che vertono non tanto sull’esistenza di dio ma piuttosto sulle ripercussioni che questa eventuale esistenza ha sul singolo e sulla massa –; la capacità di estrapolazione degli elementi in suo possesso gli consente talvolta di arrivare a intuire prima di altri le possibili conseguenze e i percorsi per giungere a un futuro più o meno lontano.

Questo romanzo di Giustino Ferri, pubblicato nel 1906, interpreta alla perfezione i criteri tipici della narrativa fantascientifica, ritagliandosi, grazie a questo unico romanzo, un posto tutt’altro che secondario tra i precursori della fantascienza italiana. Immaginando una Roma che, alla fine del XX secolo, ha riconquistato una dignità imperiale con tanto di “Cesare” al vertice, Ferri descrive una società dove l’avanzamento tecnologico ha mutato e velocizzato gli spostamenti e le comunicazioni – il “biotelo” consente quelle che oggi definiremmo “videochiamate” – il controllo del clima (e la conseguente resa agricola quasi perfetta che consente una certa abbondanza di risorse); che ha superato l’esperimento fallito del socialismo e si ispira a una filosofia edonistica e autocompiaciuta; che valuta con interesse le religioni e le filosofie orientali dopo aver relegato a religione di nicchia il cattolicesimo e emarginato fuori dal Vaticano la sua guida spirituale. Assegna una parte importante al “femminismo” – che ha un suo giornale e una referente intellettuale importante – e compie persino una escursione nella comunicazione interplanetaria. Ma dietro a questa lucentezza di vita e di rapporti cominciamo ad intravedere intrallazzi di spie, doppiogiochismo di ministri incapaci e di generali e la corruzione della guida filosofica predominante. L’ascesa delle potenze asiatiche e la loro coalizione politica mediata dal compromesso religioso porta però rapidamente alla catastrofe.

Negli anni ’40 e ’50 era già più semplice prevedere, ad esempio, l’apertura all’Oriente, il riflusso teocratico, la crisi dell’energia e la ricerca di risorse alternative e infatti sono numerosi gli scrittori che in quegli anni hanno lasciato testi importanti sugli elementi politici, sociali e umani che, prescindendo dallo stile, rimangono attualissimi anche oggi, tanto che godono di ristampe e popolarità. Ma all’inizio del secolo XX un’opera che abbia saputo proiettarsi con la fantasia avanti di cento anni e “prevedere” alcuni aspetti sia positivi che afflittivi del mondo contemporaneo si presenta oggi come una rarità. Credo si possa affermare che la familiarità che Giustino Ferri aveva con le tematiche della narrativa ospitata sulle riviste popolari – sulle quali la fantascienza è nata – gli ha consentito di occuparsi di cose e problemi che critici e letterati con molta maggiore difficoltà avevano saputo percepire e che addirittura spesso rifiutavano in blocco. E infatti la fantascienza ha dovuto aspettare mezzo secolo per vincere l’ostilità della critica e le preclusioni della letteratura “ufficiale”.

Anche per queste ragioni il romanzo di Ferri si colloca come punto di snodo nella storia della fantascienza italiana tra i precursori (Salgari, Motta, Yambo) improntati soprattutto verso una vena avventurosa, e le esperienze successive che hanno visto autori come Pirandello (La nuova colonia), Giovanni Papini (GOG, Lettere agli uomini di papa Celestino VI), Massimo Bontempelli (Eva ultima), Calogero Ciancimino (Il prosciugamento del Mediterraneo), Ada Maria Pellacani (Il sogno di un pazzo), Giorgio Scerbanenco (Il paese senza cielo), Curzio Malaparte (Storia di domani) contribuire in maniera determinante a poter collocare la fantascienza all’interno del patrimonio culturale più stimolante dello scorso secolo e a non meravigliarsi più della riscoperta di opere trascurate e sottovalutate e rivelatesi successivamente di interesse notevole.

Il testo è corredato da 22 tavole del pittore Riccardo Pellegrini, già noto per aver illustrato il romanzo Il prigioniero di Zenda di Anthony Hope Hawkins oltre ad opere più famose, in edizioni spagnole, come Don Chisciotte e Gil Blas.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Da più di un’ora la vecchia luna astronomica era sorta all’orizzonte. I guardiani, spegnendo la luna eliare sulla torre di ferro del Quirinale, erano andati a dormire. E tutta l’immensa città, – dal suburbio Capeno al quartiere Milviano, dalle radure edilizie del borgo ostiense di san Paolo all’aristocratico villaggio nomentano di Casal de’ Pazzi, – si addormentava stanca del frastuono di feste popolari e di spettacoli solenni, prolungati eccessivamente nella sera e nella notte dopo una lunga giornata di maggio.
Ria di Valchiusa che, seduta alla sua piccola tavola, aveva trascorso lavorando parecchie ore nella solitudine, claustrale della Casa dell’Aurora, lungi da quelle fastidiose gazzarre, sentì le dita irrigidirsi nervosamente sulla tastiera della macchina da scrivere: prese una sigaretta di the e di tabacco delle isola Molucche, e guardò il foglio, rileggendone le ultime righe.
«Noi, intelligenti, dobbiamo armarci e combattere contro la tirannia dell’intelligenza.
«Noi, buone, dobbiamo abbattere il dispotismo insopportabile della bontà.
«Noi, giuste e serene, dobbiamo ribellarci alla scellerata giustizia e alla indifferente serenità dei potenti che ci opprimono col loro amabile disprezzo.
«Noi…».
Qui la macchina s’era fermata.
— Noi… che cosa? Noi… chi? Siamo forse venti ancora a Roma, cinquecento in Italia, sei o settemila fra l’Europa, l’Asia e l’America e, come le ultime vestali, tentiamo invano di mantener viva la fiamma della Dea su qualche altare clandestino.

Scarica gratis: La fine del secolo XX di Giustino Ferri.