L’autrice, ancora giovane, giornalista, nata a Pietrasanta (Lucca), ha pubblicato racconti in varie antologie, e questo è il suo primo romanzo.
Nicole, una trentenne professoressa di storia e di filosofia, si porta dentro taluni ricordi molto amari; si è chiusa in se stessa e soffre questa solitudine, finché non incontra una ragazzina di venti anni, Martina, lesbica ed innamorata di lei. Nasce una relazione che pare liberarle entrambe e permette a Nicole di raccontare alla giovane amante la sua storia: «Nessuno è mai riuscito a sciogliere questo muro eppure lei l’ha già scalfito con la sua ostinata grazia di amare.»
Il romanzo è strutturato in scene che al massimo hanno due protagonisti. Attraverso di esse percorriamo un itinerario che ci porta dal presente al passato e viceversa in un alternarsi di stati d’animo in cui delusioni e speranze non sono mai fini a se stesse ma formano dentro di loro delle cicatrici. Ogni impulso alla vita li segna per sempre. La passeggiata in barca con Stefano nell’oasi del lago di Massaciuccoli (un’oasi davvero suggestiva – «quel paradiso sperduto in Toscana» – che dovrebbe visitare chiunque ancora non la conosca), avvenuta dieci anni prima, quando Nicole («non era bella ma emanava un fascino sottile») frequentava a Pisa il primo di anno di Filosofia, torna non soltanto come ricordo, ma per rimarcare una malinconia che non appartiene unicamente al personaggio, bensì alla vita: «E forse davvero una parte di me è sempre rimasta sulla sponda di quel lago, in attesa di un domani che sovvertisse l’ordine di ogni pensiero, che deviasse il corso delle mie ossessioni. In attesa di un’alba di luce.»
Il senso di colpa che attanaglia Nicole (un drammatico episodio accaduto al suo primo amore, Paolo), e da cui Stefano cerca di affrancarla, è tale da impedirle ogni volo. Un blocco psicologico la rende cinica, «a volte anche cattiva», e per molto tempo – finché non incontrerà la bulimica e omosessuale Martina – chiusa ai nuovi sentimenti. Sembra che ora sia solo il sesso ad attrarla.
Ci troviamo di fronte al ritratto di una situazione, non infrequente, che colpisce una minorenne innamorata di un uomo sposato, che ad un tratto tragicamente scompare. L’autrice vi si muove con prudente delicatezza sottolineandone i passaggi inibitori di cui non sarà mai facile per nessuno liberarsi. Dice di sé Nicole: «Io avevo fame solo di disperazione, era l’unico sentimento che riusciva ancora a farmi alzare ogni mattina.»; «tanti anni dopo, tanto dolore dopo, io so che niente in me è cambiato.»
Paolo era stato un sogno, il punto di arrivo di una felicità insperata; nell’amore tra i due si era consumata in Nicole tutta la vita. Quando entrambi nel 1994 ascendono il Monte Folgorito («È un posto di una bellezza sfacciata»), vicino a Pietrasanta, essi vanno incontro ad uno speciale luogo dell’anima («La felicità arrivava ad ondate e mi ubriacava») che si incontra, se si è fortunati, una sola volta nella vita; ed è a un tale momento, «un momento perfetto», che Nicole comparerà, in un modo sempre più idealizzato e insoddisfacente, la propria vita: «l’amore è un’illusione, un nettare di vita che solo una volta mi è stato concesso di bere, dopo di te nessuno ha più trovato la chiave del mio cuore.» La felicità, ossia, spesso è causa della infelicità. Dirà ancora sulla tomba di Paolo: «Siamo malati, amore mio, malati di quel male di vivere che non trova mai pace».
Di questo mal di vivere sono affetti, in realtà, tutti e quattro i personaggi del romanzo. Sembrano esserci nati. La loro vita è trascorsa tra paure, incomprensioni, insicurezze, incapacità a riconoscersi. Contrariamente a quanto di solito avviene nella vita di ciascuno di noi, in cui l’infanzia e la giovinezza rappresentano l’età più radiosa e piena di speranza, in questo romanzo incontriamo personaggi immersi sin da quei primi anni nel dolore, capaci soltanto di ricavare dal singolo ed inaspettato momento di felicità una serie infinita di tribolazioni. Ne usciranno nel solo modo possibile: quello di andare fino in fondo al dolore, accoglierne tutta la sua potenza devastatrice, disponendosi a farsi vincere e distruggere. Soltanto in questo modo, giunti ad uno dei limiti che ogni tanto la vita ci impone, sarà possibile liberarsi e ricominciare da capo.
Home Libri Recensioni libri Ilaria Giannini: «Facciamo finta che sia per sempre», Intermezzi Editore, 2009