Il Violino d’oro (Az aranyhegedű) è un romanzo del 1916 la cui narrazione si svolge avendo sullo sfondo le vicende della guerra mondiale. La coppia di coniugi protagonisti della vicenda, Caterina e Stefano Aratò, sono descritti attraverso l’instabilità emotiva della donna e una sorta di integerrimo eroismo di lui, medico e scienziato. Stefano segue, in conseguenza degli eventi bellici e coerentemente con la sua professione e capacità, i malati di tifo in un lazzaretto. Caterina assume con determinazione il ruolo di infermiera in ospedale, dove vengono accolti i feriti delle battaglie. Incontra qui il capitano Milka, già fugacemente conosciuto al momento della partenza per la guerra come volontari dei due gemelli fratelli minori di Stefano.

In questa circostanza è presentato con pochi ed efficaci tratti un altro personaggio, un sergente molto ben voluto, bonario e altruista, di origine contadina. Caterina incontra però in ospedale tra i feriti il capitano Milka, stordito dallo scoppio di una granata, e gradatamente lo riporta alla coscienza ma contemporaneamente sente nascere un sentimento più profondo che asseconda. Non viene in realtà consumato nessun adulterio, ma l’intimità tra i due viene prima osservata dai due gemelli, che se pure in convalescenza decidono di ripartire precipitosamente per il fronte, e poi dallo stesso Stefano, il quale contrae poi lui stesso il tifo mentre, di fronte alla vittoriosa avanzata dei russi, è costretto a trasportare i malati attraverso i Carpazi; approfittando della malattia decide quindi di far diffondere la falsa notizia della propria morte.

Emarginazione e solitudine emergono come elementi di tragico eroismo lasciando sullo sfondo i colori intensi dei campi di battaglia e gli scenari tragici della prima guerra mondiale; il romanzo è quindi una storia d’amore inserita in una cornice, intonata al contenuto, che è quella della guerra. In conformità ai suoi punti di vista di conservatore, Herczeg tende a presentare come comportamento eroico la reazione di Stefano Aratò di fronte ai travagli interiori della moglie e lo presenta come vincitore d’una guerra che appare non meno tremenda di quella che si combatte al fronte e che ha per campo di battaglia l’anima umana, il silenzio nel quale la si avvolge combattendo contro quegli stessi affetti, gioie e speranze che, una volta crollate, lasciano il campo libero al tormento della delusione.

La “tesi” del romanzo è che Aratò vince questi tormenti raggiungendo la soglia di una nuova vita intravista fugacemente da Caterina stessa che, credendosi vedova, torna alla casa storica degli Aratò. Questa vittoria di Stefano potrebbe far apparire chi rimane sconfitto, sprofondato nella bassezza del grigiore della gente comune sulla quale la forza d’animo di Stefano si erge inarrestabile. Ma forse, persino al di là delle intenzioni dell’autore, la figura di Caterina con la sua instabilità emotiva, il fallimento del suo matrimonio, al quale tuttavia si aggrappa confusa tra il nuovo sentimento e il rispetto della vedovanza, emerge come quella di una giovane donna dai molti volti e dal carattere tormentato, forgiato da un’infanzia complicata e da un’educazione contraddittoria.

È certamente vero che Herczeg “celebra” la vittoria emotiva di Stefano, per ottenere la quale deve prima acquisire dimestichezza con il dolore e con questo strumento riuscire a separarsi in un certo qual modo dall’anima, pur con immensa pena. Ma non è meno vero che la sofferenza di Caterina è vista con commossa partecipazione. Il suo idilliaco amore ideale per Stefano finisce per assumere i connotati di una maschera tragica che cade miseramente di fronte agli avvenimenti bellici, rendendo divisibile ciò che prima pareva indissolubile. Appare invece poco più di un fantoccio il capitano Milka, tanto neutro e insensibile da non essere nemmeno in grado di avere idee “cattive”. Il titolo del romanzo riprende quello di una fiaba che viene trovata da Caterina tra le carte di un antenato di Stefano nella loro antica casa; fiaba che appare un inno di pace e di vita domestica.

Le più belle pagine si trovano, a mio avviso, nella descrizione del dolore straziante di Stefano, frammisto al delirio della febbre tifoide; i suoi sentimenti devono essere accantonati uno a uno, con intenso conflitto interiore e questo combattimento avviene mentre è in corso uguale e drammatico combattimento con la malattia e la morte. Ma non meno efficaci sono le pagine dove si scruta l’anima di Caterina, che in definitiva si trova ad avere la sola “disgrazia” di essere una donna comune di fronte a un eroe della vita morale come Stefano. Ma questa sua “disgrazia” la innalza verso l’affermazione di se stessa oltre alla capacità passiva di farsi dominare dall’anima altrui, sia quella di Stefano che quella, ben poco luminosa, di Milka.

La traduzione italiana è del 1932 ad opera di Silvino Gigante, traduttore attivissimo nell’ambito della letteratura magiara e noto autore della Storia di Fiume. Lo stile di Gigante rende il romanzo di piacevole e scorrevole lettura.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Le cupole barocche della reggia si profilavano nere e pesanti sullo sfondo del cielo, simili a una carovana di elefanti pronta al viaggio.
Sopra la rocca di Buda un fiume d’oro corrusco scorreva nel cielo crepuscolare. Sul fiume fiammeggiante navigavano galee di nubi; silenziose e tetre, con fretta subdola, veleggiavano l’una nella scìa dell’altra. Sui ponti di esse stavano accovacciati uomini, fatti di nubi, dalle corna di toro e dalle lunghe criniere di leone. Chi sa qual carico fatale portavano?
Il professore, ritto presso il balcone prospiciente sul Danubio, guardava quella fuga di nuvole. A un tratto si rammentò – e non ci pensava più da un pezzo – che con quelle nubi galleggianti nel cielo, nella sua infanzia, egli aveva avuto legami di strane relazioni personali.
In quel tempo le nuvole erano state le sue compagne di giuoco, come gli angeli del paradiso per gli orfanelli. La sua fantasia le plasmava, le forgiava fino a che non si trasformavano in fantastiche donne bianche, in gnomi strani, in dragoni dal ventre d’oro, in centauri. Nel cielo egli aveva buoni amici e nemici malvagi: le mansuete donne-nubi salutavano sorridenti il bambino che le guardava dal giardino della casa paterna, i gnomi malignamente torcevano verso di lui le facce in minacciosi sberleffi.

Scarica gratis: Il violino d’oro di Ferenc Herczeg.